È morto Giorgio Napolitano, il presidente emerito della Repubblica aveva 98 anni
È morto oggi 22 settembre all’età di 98 anni il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, a lungo dirigente del Pci, poi europarlamentare, presidente della Camera, ministro e infine capo dello Stato per due mandati (il secondo non portato a termine), dal 2006 al 2015. Napolitano era da tempo ricoverato in una clinica romana, e un anno e mezzo fa era stato operato all’addome. Negli ultimi giorni le sue condizioni avevano destato preoccupazione crescente nei medici, con il peggioramento di un quadro clinico che si presentava già complesso. Il decesso è avvenuto alle 19.45 nella clinica Salvator Mundi al Gianicolo a Roma. La Camera ardente sarà allestita al Senato, e potrebbe essere organizzata già per domenica. Per lui dovrebbe essere convocato un Consiglio dei ministri per decidere sui funerali di Stato. Secondo quanto si apprende, scrive Ansa, la famiglia starebbe pensando ad una cerimonia laica. Al Senato sono state intanto messe a mezz’asta le bandiere, mentre da tutto il mondo della politica arrivano messaggi di cordoglio.
Chi era Giorgio Napolitano
Il primo presidente della Repubblica a essere eletto per due volte e il primo a rinunciare, a metà mandato, all’incarico è stato in politica per oltre 60 anni. Di origini facoltose e nobili, Giorgio Napolitano nacque a Napoli il 29 giugno 1925. Si laureò in giurisprudenza all’Università Federico II, dove aderì anche al Gruppo universitario fascista. Nel 1945 entrò nel Partito Comunista e nel 1953 venne eletto per la prima volta in Parlamento, posto che occupò con qualche breve interruzione fino al ’96 nelle vesti di deputato e senatore. È stato ministro dell’Interno e ministro per il coordinamento della Protezione civile nel governo Prodi I, nonché presidente della Camera dei deputati e senatore a vita, prima tra il 2005 e il 2006 fino alla sua prima elezione a presidente della Repubblica, e poi dal 2015 fino a oggi, dopo aver rinunciato a proseguire il suo secondo mandato al Quirinale.
La sua idea di comunismo
Il ruolo di Napolitano all’interno del Partito Comunista ebbe diverse fasi. Nel 1956, durante la rivoluzione ungherese, il futuro presidente della Repubblica si schierò a favore dell’intervento sovietico a Budapest, sposando la linea di Palmiro Togliatti e prendendo le distanze dalle prime aree critiche che si resero visibili in quel periodo: «Credo che l’intervento sovietico sia stato utile a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione e abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo». Allo stesso tempo, si oppose alle posizioni più oltranziste e rivoluzionarie, tanto che la sua corrente politica venne definita “migliorista”. In questa prospettiva, Napolitano teorizzò e in parte attuò un riavvicinamento al Partito socialista, ruolo di mediatore che lo rese una figura di riferimento per le socialdemocrazie europee. Il crollo dell’Urss nel ’91 fu una nuova occasione per esprimere il suo pensiero sul comunismo: «La morte dell’Urss avviene in modo drammatico e convulso. Gorbaciov però resta lo straordinario iniziatore di una nuova fase nella vita europea e di svolta verso il disarmo», sostenne. Negli ultimi anni del partito, da responsabile per gli esteri, aderì a una linea pro Stati Uniti e Nato, tanto che Henry Kissinger lo definì: «il mio comunista preferito».
Tangentopoli
Tra il 1992 e il 1994 fu presidente della Camera, in piena Tangentopoli. Dopo la seduta del 29 aprile 1993 che aveva respinto a voto segreto la richiesta di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi, Napolitano decise di riformare il regolamento anche per dare un segnale ai cittadini. Il cosiddetto “Parlamento degli Inquisiti” doveva adottare soluzioni più trasparenti. Così il 6 maggio Napolitano stabilì che le future deliberazioni sulle autorizzazioni a procedere avvenissero con il voto palese. In questi anni avvenne lo strappo con Bettino Craxi: «Come credere che il presidente della Camera, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui?», accusò il presidente del Psi.
La nomina a presidente della Repubblica
Il 10 maggio del 2006 viene eletto 11esimo presidente della Repubblica italiana, alla quarta votazione con 543 voti su 990 votanti. Il primo e per ora unico ex Pci a esser nominato alla più alta carica istituzionale. L’elezione avvenne durante il terzo governo Berlusconi che il 2 maggio aveva rassegnato le dimissioni per la conclusione della legislatura. Con lui si sono celebrati i 150 anni dall’Unità d’Italia.
La crisi del 2011
La condotta politica di Napolitano negli anni è stata tratteggiata come interventista, con continui giudizi, affondi e «moniti» sulle decisioni dei vari governi fatti trasparire platealmente o attraverso indiscrezioni ai media. In alcune occasioni il Presidente si è lasciato andare a sfoghi contro giornalisti e politici. La sua interpretazione del soft power presidenziale venne celebrato dal New York Times nel dicembre 2011 quando, attraverso la nomina a senatore a vita di Mario Monti, segnalò il nome da mettere a palazzo Chigi alla conclusione della crisi del governo Berlusconi. «Re Giorgio», lo ribattezzò il quotidiano statunitense, evidenziando la sua capacità di difendere le istituzioni e il suo ruolo in questo complicato passaggio per la Penisola.
La trattativa Stato-mafia
Il 30 gennaio 2014 il Movimento 5 Stelle depositò nei suoi confronti una messa in stato d’accusa per aver firmato leggi, secondo il partito di Beppe Grillo, anticostituzionali e per un suo presunto ruolo nella cosiddetta trattativa Stato-mafia. L’11 febbraio la procedura venne archiviata perché giudicata dai parlamentari come priva di fondamento. A suscitare teorie del complotto e ricostruzioni mai verificate ci sarebbero le intercettazioni tra Nicola Mancino, più volte senatore e vicepresidente del Csm, e Napolitano mentre ricopriva il ruolo di presidente della Repubblica. Il Quirinale, sostenendo di non poter essere intercettato, sollevò il conflitto di attribuzione: nel 2013 la procura di Palermo distrusse quindi le registrazioni audio.
Il secondo mandato e la rinuncia
La decisione di sollecitare indirettamente un secondo mandato, segnalando fin dal principio che non sarebbe stato un settennato pieno, avvenne in una condizione politica di grande incertezza. Le elezioni politiche del 2013 non avevano consegnato un vincitore chiaro: la coalizione di sinistra guidata dal PD aveva la maggioranza alla Camera, ma non al Senato. Durante lo stallo, che si risolse solo mesi dopo, venne deciso di anticipare le elezioni del nuovo presidente facendo dimettere prima Napolitano. Così il 20 aprile venne rieletto presidente – prima rielezione della massima carica dello Stato nella storia della Repubblica – alla sesta votazione con 738 voti su 997. Nel discorso di fine anno del 2014, Napolitano anticipò le sue dimissioni: «Sto per lasciare le mie funzioni. E desidero dirvi subito che a ciò mi spinge l’avere negli ultimi tempi toccato con mano come l’età da me raggiunta porti con sé crescenti limitazioni e difficoltà». Il 14 gennaio 2015 questo intento si concretizzò.
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