Così la geolocalizzazione ha salvato una ragazza di 15 anni dal suicidio: «Ma non spiate i vostri figli»
Una ragazza di 15 anni ha tentato di togliersi la vita lanciandosi da un ponte nel torrente Savena nel Bolognese. Prima di buttarsi lei aveva mandato a un’amica un messaggio annunciandole il proposito suicida. Questo ha permesso al padre di sapere delle intenzioni della figlia e di avvertire il 118. Ma anche di geolocalizzare la posizione della 15enne. La macchina dei soccorsi si è attivata in tempo. Un carabiniere si è gettato in acqua e ha salvato la ragazza. Ma in che modo è possibile utilizzare la geolocalizzazione in questi casi? E come si attiva la geolocalizzazione sugli smartphone? A queste domande risponde oggi Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore all’Università degli Studi di Milano, in un colloquio con il Corriere della Sera.
Come attivarla
In primo luogo va ricordato che la geolocalizzazione va attivata attraverso un’App. Con gli smartphone di Apple basta utilizzare l’App “Dov’è?” e scegliere con quali contatti condividere la posizione. È possibile anche attivare notifiche legate a un luogo particolare. Quando lo smartphone arriva oppure si allontana da un luogo, parte l’avvertimento. Attraverso il “Tempo di utilizzo” è poi anche possibile impedire la disabilitazione della condivisione della posizione. Con Android e Google si può utilizzare il “Family Link”, ovvero il sistema di parental control. Si compone di due app, una per l’adulto e l’altra per il minore. Per quest’ultimo non c’è modo di disattivarlo a meno che non acceda al dispositivo del genitore. O ne conosca la password di Google. Altrimenti si può impostare la condivisione della posizione su Whatsapp, su Facebook Messenger o su Google Maps. Oppure con app come Life 360 o Qustodio. Ci sono anche i tracker Gps, che però necessitano di una sim.
Dovremmo conoscere la posizione dei nostri figli?
Ma Pellai avverte: «Non dovremmo conoscere la posizione dei nostri figli attraverso la geolocalizzazione. In quello di Bologna parliamo di un caso estremo, in cui era in gioco la vita. In quei casi sì, non bisogna lasciare mai i ragazzi da soli». Ma in tutti gli altri casi, aggiunge Pellai, «il controllo a distanza è consigliabile solo alle elementari, al più tardi durante la secondaria di secondo grado, ma già con moderazione. Se alle medie c’è bisogno di contattare il ragazzo lo si fa con una telefonata». Molti genitori ricorrono a questa forma di controllo «perché pensano in questo modo di gestire l’ansia. Spesso sono proprio gli adulti che non riescono a superare il distacco, con la conseguenza che ho trovato genitori che controllavano gli spostamenti dei figli universitari a 300-400 chilometri di distanza».
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