L’Aquila, la sentenza che assolve gli imputati di stupro: «Lei aveva bevuto, il sesso era consenziente»
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza del tribunale de L’Aquila che assolveva i presunti stupratori di una ragazza di 15 anni. Il Palazzaccio ha ordinato un nuovo processo perché secondo gli ermellini i giudici hanno omesso di valutare le prove. Tra cui quella della presenza di liquido seminale dei due sulla maglietta della vittima. In primo grado i due imputati, un alpino e un ambulante, erano stati condannati a 4 anni e mezzo di reclusione. In appello erano stati assolti. Il giudice Luca Ramacci nella sua sentenza bolla anche come eccentrica la decisione di far testimoniare in aula la vittima: «La vittimizzazione secondaria della giovane, sicuramente da considerarsi persona particolarmente vulnerabile, si è in effetti verificata ed è iniziata con la decisione di riassumere in contraddittorio l’esame della persona offesa, già escussa in incidente probatorio, scelta ancor più eccentrica laddove si consideri che gli imputati avevano optato per il rito abbreviato».
Sesso consenziente
La ragazza, ricorda oggi Il Messaggero, dopo la violenza sessuale aveva tentato due volte il suicidio. La Corte non ha trovato convincente anche la posizione degli imputati. Che avevano parlato di sesso consenziente: «I giudici d’appello non hanno spiegato in alcun modo come i due imputati avrebbero raccolto il consenso» della giovane. Di più: la sentenza d’appello lascerebbe intendere anche una specie di consenso implicito. Derivandolo dal fatto che la ragazza aveva ammesso di aver bevuto due o tre bicchieri di vino con gli imputati, ma non tanto da ubriacarsi. Secondo la Cassazione in questo modo si finisce per porre in capo alla vittima la responsabilità di resistere all’atto sessuale. Con una presunzione di consenso che deriva dalla «supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati».
La credibilità della versione degli imputati
Infine, secondo la Cassazione la Corte d’Appello «omette, inoltre, la Corte di appello di compiere qualsiasi valutazione sulla credibilità della versione alternativa fornita dai due imputati (salvo affermare, a che il fatto che non si siano mai sentiti telefonicamente dopo il fatto costituirebbe elemento in grado di dimostrare che il fatto non è successo), anche in relazione al loro comportamento processuale». Per la Cassazione i giudici di appello hanno omesso, nella loro valutazione, «di confrontarsi con i dati valorizzati dalla prima sentenza: hanno infatti proceduto alla demolizione dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa per poi esaminare i soli dati estrinseci che confortavano la soluzione adottata, con un approccio contrario a quello che deve caratterizzare il «metodo scientifico» di ricerca della prova».
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