Lo stupro in diretta, la terza minore, la madre che accusa la figlia: l’ordinanza degli orrori di Caivano
I due maggiorenni finiti in carcere con l’ordinanza su Caivano si chiamano Pasquale Mosca e Giuseppe Varriale. Il primo è il più anziano: ha compiuto 19 anni alla fine di maggio. L’altro è maggiorenne da febbraio. Il più giovane dei sette minori coinvolto nell’applicazione della custodia cautelare di anni ne ha compiuti 14 ad aprile. I carabinieri, fa sapere il Corriere della Sera, hanno una quantità enorme di elementi che li accusano di essere gli autori degli stupri nei confronti delle due cuginette di 10 e 12 anni. Di cui una affetta da «immaturità affettiva» e «deficit cognitivo prestazionale». Ma intanto c’è anche una terza vittima, anche lei 13enne. Tre degli accusati hanno precedenti: estorsione, molestie, lesioni aggravate, porto di arma bianca (coltello). Le vittime invece non parlano con i genitori «perché hanno paura di non essere credute».
«Ridevano»
La Stampa racconta che dalla lettura dell’ordinanza emerge il calvario delle due ragazzine. Che vengono ricattate dal branco proprio con i filmati della violenza: «Chiamo tuo padre e gli mostro i video». Uno degli accusati di stupro, il 15enne F.B., partecipa dopo aver finito il turno di spacciatore. Dove lo accompagna un ragazzino di 9 anni. La sequenza dei sette stupri documentati si svolge in un arco temporale di tre mesi. In un’occasione anche nell’abitazione di uno degli accusati. Poi c’è un particolare rimarcato anche dal gip Fabrizio Forte: «Deridevano le bambine». Sempre il giudice ha segnalato un altro dettaglio. Una delle bimbe, la più grande, ha detto che la «madre, allorquando era venuta a conoscenza di tali episodi, aveva reagito rimproverandola, dicendosi assai delusa da lei e sostenendo che, in qualche modo, l’aveva voluto lei».
La prima violenza
Il Corriere racconta l’inizio della storia. La più piccola delle bambine si innamora di uno di quelli che poi la violenta. Lui ha 16 anni e al primo appuntamento vuole chiederle di fare sesso, ma si vergogna. Allora manda un bambino di nove anni a parlare per lui. Lei dice sì per paura che quello la lasci. Vanno all’isola ecologica «che è un posto romantico», dice lei stessa al magistrato. «Non ho provato nulla. Ero troppo piccola per quello che ho fatto» aggiunge. Poi la invita a casa. E la stupra in videochiamata, riprendendo la scena in modo che gli amici vedano quello che fa. Mentre se ne vanno, incrociano la mamma di lui. Che gli dice: «Lasciala stare che è piccola». Quelli che assistono via chat alla violenza vogliono fare altrettanto con l’altra, che ha 10 anni. La prima volta la più grande viene presa dopo essere stata minacciata con un bastone. Poi l’hanno presa anche a sassate. Dove le portavano c’era una tenda: le due non potevano vedersi. Però «abbiamo deciso di non raccontare nulla ai nostri genitori per paura della loro reazione e di non essere credute».
L’altra vittima
Il Fatto Quotidiano invece racconta di un’altra vittima, anche lei 13enne. Dalle indagini nei cellulari vengono estratti 5 video pedopornografici. In uno si ascoltano le voci di almeno tre ragazzi. Una delle due bambine, cui gli inquirenti fanno vedere uno dei video ritrovati, chiude gli occhi e riconoscerà uno dei suoi aguzzini solo dalla voce. Si tratta di «video che, eliminando qualsiasi dubbio, mostrano la crudezza con cui venivano trattate dal branco, alla mercé di cose». A uno degli indagati si contesta l’episodio della terza vittima. È avvenuto a marzo in un ipermercato nel Casertano. La denuncia è stata fatta a Terracina. All’epoca l’accusato aveva poco meno di 14 anni. Nei racconti compare una casupola. È tra i luoghi in cui si sono consumati le violenze. Come il campetto da calcio di un centro sportivo, l’isola ecologica abbandonata di via Necropoli e l’ex stadio Faraone. I carabinieri hanno individuato nell’ex isola ecologica una «casupola in mattoni, in stato di totale abbandono, all’interno della quale venivano rinvenuti una felpa, una mutanda, coperte, trapunte e piumini ammassati”. Stracci usati come materassi e divisori durante gli stupri di gruppo.
Le famiglie
I parenti di quattro degli indagati hanno precedenti «gravi e numerosi, per cui i nuclei familiari – scrive il gip – non danno alcuna garanzia di vigilanza sui minori». La stessa mancanza di vigilanza, del resto, o meglio «precaria condizione familiare», che ha indotto il tribunale civile a collocare le due bambine in comunità per un processo di recupero che sarà lungo e difficile. Una delle due piccole vittime, scrive il gip, spiegando il perché le ragazzine hanno tenuto nascosto l’inferno che stavano passando, «è sola». Non ha «una famiglia o una coppia genitoriale in grado di sostenerla ed accompagnarla nella crescita». Ed anche nel caso dell’altra «il punto critico che emerge è sempre una povertà nel contesto e nella famiglia». Una situazione che non ha permesso «di riferire gli eventi e di farsi aiutare».