New York, Donald Trump in aula sfida i giudici nel processo per frode: «È tutta una farsa». E la Corte Suprema lo «perdona» per Capitol Hill
L’ex presidente americano Donald Trump è in aula oggi a New York per presenziare alla prima udienza del processo contro di lui e I suoi figli adulti con l’accusa di frode nella gestione decennale dei suoi business, a partire da quello immobiliare. Un appuntamento cruciale per gli inquirenti per dimostrare la solidità delle accuse, e per il tycoon per politicizzare al massimo uno dei tanti filoni giudiziari che lo vedono protagonista, in vista della corsa alle presidenziali di novembre 2024. «Questa è la continuazione della più grande caccia alle streghe di tutti i tempi», ha sentenziato non a caso Trump prima di entrare in aula: l’ex presidente Usa ha definito «una truffa e una farsa» e persino uno «show horror» il processo per frode, la pm titolare dell’accusa Letitia James «razzista» e il giudice «canaglia». Linguaggio brutale ma ormai consuetudinario per Trump. Quindi il processo ha avuto inizio: il procuratore Kevin Wallace ha lo ha aperto descrivendo la tela di menzogne che Trump e i suoi avrebbero costruito per anni per ingigantire il valore degli asset della Trump Organization di fronte a banche e assicurazioni per un decennio. La procuratrice generale di New York Letitia James Per ha chiosato: «Donald Trump e gli altri co-imputati hanno commesso una frode persistente e ripetuta. Oggi dimostreremo le altre nostre accuse. Il mio messaggio è semplice: non importa quanto sei potente, non importa quanti soldi potresti avere, nessuno è al di sopra della legge, e la legge prevarrà».
Nelle stesse ore in cui si apriva il processo a New York, dalla Corte Suprema è arrivata intanto una sentenza che fa sorridere Trump. L’Alta Corte ha infatti respinto un ricorso che chiedeva di escluderlo dalla corda alla rielezione alla Casa Bianca a causa del suo ruolo nel fomentare l’assalto di gennaio 2021 a Capitol Hill. Il massimo tribunale Usa ha bocciato infatti il ricorso avanzato da John Anthony Castro, uno conosciuto candidato alle primarie dei repubblicani, che puntava a silurare il più ingombrante dei contendenti alla nomination. Il ricorso si basava sul 14esimo emendamento della Costituzione, che stabilisce che un funzionario che abbia giurato di difendere la Carta «deve essere escluso da cariche future se è stato coinvolto in un’insurrezione o se ha dato aiuto a chi l’ha realizzata».
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