Meloni attacca ancora dopo la sentenza di Catania: «Dai giudici una difesa corporativa, quella pronuncia è incomprensibile»
È una Giorgia Meloni a tutto campo, quella che risponde alla domande di SkyTg24 in occasione dei vent’anni dal lancio di Sky in Italia. Dallo scontro con la magistratura dopo la sentenza anti-Cpr del tribunale di Catania all’accordo europeo sulla gestione dei migranti, dalla guerra in Ucraina al Mes, la premier tocca tutti i punti salienti dell’attualità politica, non disdegnando frecciate ai suoi avversari, politici e non solo. In cima all’agenda di Palazzo Chigi c’è ovviamente il tema dei migranti, con il rompicapo dell’accoglienza acuito dalla recente pronuncia della giudice di Catania: «Sulle motivazioni di quella sentenza, che si occupa di un migrante fra l’altro già destinatario di un provvedimento di espulsione, con tesi francamente incomprensibili, tipo le caratteristiche fisiche del migrante adatte ai cercatori d’oro in Tunisia, io non sono d’accordo», ribadisce a Sky Meloni. Che poi attacca: «La difesa corporativa che vedo dall’altra parte piuttosto mi preoccupa, perché come un magistrato è libero di dire che un provvedimento del governo è illegittimo, il governo può dire che non è d’accordo senza che questo voglia dire attaccare una categoria». Meloni ha comunque precisato di non volere assolutamente mettere in discussione l’autonomia della: «Sono una persona di destra. Chi è di destra come me ha rispetto dei servitori dello Stato, rispetto della separazione dei poteri, rispetto delle istituzioni della Repubblica», ha detto la premier, spiegando quindi che «per quello che mi riguarda non c’è nessun fronte aperto con la magistratura, ma questo non mi impedisce di dire che se una sentenza è incomprensibile, è incomprensibile. A maggior ragione se quella è una sentenza che dichiara di fatto illegittimo provvedimenti del governo, con tutti i passaggi istituzionali che si fanno quando una norma diventa legge in Italia, compresa la controfirma da parte del presidente della Repubblica. E noi l’abbiamo impugnata. Posso semplicemente dire che non la condivido».
L’intesa Ue e la grana tunisina
Se l’immigrazione resta un terreno spinosissimo sul fronte interno, le rigidezze sembrano essersi sciolte sul fronte europeo, con l’intesa siglata oggi dagli ambasciatori dei 27 Stati Ue: «A livello europeo mi pare che si siano fatti, in termini di lettura, passi avanti molto importanti. Ho l’impressione che l’Italia in passato non avesse posto la questione con determinazione», ha detto sul punto Meloni. Che ha ribadito quale considera essere il “suo” vero avversario: «Ho un unico fronte aperto sull’immigrazione, è il fronte con i trafficanti di esseri umani. Non abbiamo combattuto secoli fa la schiavitù per vederla tornare nel terzo millennio sotto nuove forme. E il lavoro che sto portando avanti è un lavoro deciso di gestione dei flussi migratori che significa fermare la migrazione illegale e gestire la migrazione legale». Un dossier che Meloni ha gestito negli scorsi mesi puntando anche e soprattutto su accordi con i Paesi di provenienza e transito dei migranti. A cominciare dalla Tunisia. Peccato che quel memorandum due mesi dopo sia rimasto sulla carta, e che il leader di Tunisi Kais Saied abbia appena mandato un messaggio di fuoco all’Ue, giurando di non volere la «carità» dei fondi che Bruxelles propone di elargirgli in chiave di contenimento dei flussi. «Penso che il presidente Saied, sicuramente con un tono assertivo, si rivolgesse alla sua opinione pubblica», ha osservato Meloni cercando di stemperare la tensione. «Dopodiché non dice niente di molto diverso da quello che anche l’Italia sostiene, cioè che il rapporto con i Paesi africani deve cambiare perché noi abbiamo avuto con questi Paesi un approccio paternalistico, un po’ come se ci sentissimo superiori, che non è il modo giusto per affrontare queste materie. Con queste nazioni si deve lavorare con rispetto, da pari a pari, con un approccio che è quello di un partenariato strategico».
I negoziati su Mes e Patto di Stabilità
Quanto ai rapporti con i partner Ue, resta sul tavolo per il governo anche lo scoglio del Mes, il cui trattato modificato è fermo mancando all’appello l’approvazione dell’Italia. Cosa su cui non sembra esserci novità alcuna. Anzi. «La posizione del governo è sempre la stessa, io non ho cambiato idea sul tema del Mes, ma al di là di quello che si pensi nel merito dello strumento penso che chi oggi propone di aprire questo dibattito non faccia un favore all’Italia in ogni caso, che si sia favorevoli o contrari», ha detto la premier a Sky. «Banalmente, perché non ha senso discutere uno strumento se non si conosce qual è la cornice all’interno della quale quello strumento si inserisce». «Faccio un esempio facile – ha aggiunto ancora Meloni – il Mes richiama i parametri del vecchio Patto di Stabilità. Ora, se tornassero per noi sarebbe oggettivamente un problema, per noi e per la stragrande maggioranza dei paesi europei, quasi tutti in buona sostanza. È evidente che non tenere in considerazione questi due elementi è un modo miope, il solito approccio ideologico con cui valutiamo degli strumenti, con cui delle volte affrontiamo questo dibattito in Italia».