Così il caro-spesa fa ingrassare e mette in pericolo la salute: «Un grave errore? Il cibo pronto»
L’aumento dei prezzi dei generi alimentari produrrà obesità. Perché per una fascia consistente della popolazione i rincari si tradurranno in una minore qualità del cibo acquistato. Lo dicono gli “Indicatori per il benessere equo e sostenibile” inseriti tra gli allegati del Documento di Economia e Finanza (Def). L’eccesso di peso, definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla base dell’Indice di Massa Corporea (Imc), è appannaggio di un Imc superiore a 25 tra chi ha compiuto almeno 18 anni. L’indicatore definisce così il numero di individui in sovrappeso sul totale della popolazione maggiorenne. In Italia l’Imc ha toccato il suo massimo nel 2020. Forse anche a causa dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus. Dopo il calo nel 2021, l’anno scorso l’Imc è tornato ad aumentare.
L’indice di massa corporea
L’indicatore standardizzato, fa sapere oggi Il Messaggero, è a 44,5. Quello grezzo a 46,3. Ma la parte più interessante dell’analisi del ministero dell’Economia su dati Istat è quella che guarda al futuro. E che stima in crescita l’andamento dell’indicatore fino al 2026. Proprio a causa dell’inflazione. Che si fa sentire soprattutto negli acquisti degli alimentari. Il ragionamento degli statistici è che l’aumento dei prezzi dei cibi porta ad acquistare prodotti meno costosi che però hanno anche una minore qualità. E vanno a incidere sull’aumento di peso. Soprattutto della popolazione con minori disponibilità economiche. Il valore degli individui in eccesso di peso sul totale della popolazione è previsto in crescita nel 2023 e nel 2024. Se non ci fosse l’inflazione sarebbe invece in calo.
I consumi
Le rilevazioni sui consumi confermano il quadro. I consumatori dimostrano una preferenza per i discount e in generale per una spesa qualitativamente meno ricercata. Si tratta di un fenomeno già conosciuto e studiato a livello globale. Che porta a malattie croniche e disabilità. Provocando anche esclusione sociale. Ma c’è anche il problema dell’aggravio dei costi del sistema sanitario. Lo spiega al quotidiano Francesco Vaia, direttore generale della prevenzione del ministero della Salute. Vaia spiega che tra le patologie croniche associate a una cattiva alimentazione ci sono naturalmente l’obesità, l’ipertensione e l’iperlipidemia. Mentre il sistema sanitario italiano ha già in carico i problemi relativi all’invecchiamento e alle patologie croniche.
Un grave errore? Puntare sul cibo pronto
Per contrastare questa situazione secondo Vaia «è necessario educare la popolazione alla buona alimentazione». E per questo a breve partiranno una serie di progetti nelle scuole. Con il supporto di esperti nutrizionisti già al lavoro. Laura Di Renzo, direttrice della scuola di specializzazione in Scienze dell’Alimentazione a Tor Vergata, spiega invece che abbiamo perso le conoscenze necessarie per valutare la bontà dell’alimentazione. «Pensiamo che basti comprare cibo che ci dia sazietà, ci soddisfi e ci dia calorie sufficienti. Ma è l’errore più grande», dice a Graziella Melina. De Rienzo fa l’esempio dei cibi pronti. Che mettiamo nel carrello senza riflettere sul fatto che questi prodotti sono pronti all’uso, già cucinati. «Ma i prodotti ultra-processati contengono grassi, zuccheri e hanno grande sapidità».
Molto calorici, poveri di nutrienti
Questo vuol dire, secondo la docente, che sono quindi molto calorici ma allo stesso tempo sono poveri di nutrienti. «Così andiamo incontro alla malnutrizione. Senza dimenticare che si tratta di prodotti che danno assuefazione, oltre a provocare un’alterazione del nostro microbiota intestinale. Con tutte le patologie infiammatorie che ne conseguono. Oltre a infertilità e malattie cardio-metaboliche. E c’è anche un altro problema: «Ci sembra che costino poco ma in realtà il prezzo al chilo è altissimo». E nel conto dovremmo mettere anche le malattie da curare, con tanto di medicinali e visite. Bisognerebbe invece avere «una dieta ricca di vegetali e ortaggi. Le fonti proteiche è bene derivino essenzialmente dal pesce. Mentre la componente grassa si può aggiungere con il condimento dell’olio extravergine di oliva.
La carne
La carne, invece, bisognerebbe mangiarla soltanto ogni 10-15 giorni. Il pesce tre o quattro volte a settimana: sgombri, acciughe, alici, sarde che hanno un costo sostenibile. Quello in scatola va consumato per 50 grammi a settimana e basta. Le verdure non vanno prese in busta. Infine: «Se voglio proteine e non ho la possibilità economica meglio le uova. Se non si è diabetici, una o due al giorno sono una buona risorsa».
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