Tweet al curaro dell’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede. Ecco perché sono sempre più tesi i rapporti Israele-Vaticano
«Alla fine noi ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici». La frase è di Martin Luther King, ma a postarla su Twitter nella notte fra sabato e domenica è stato Raphael Schutz, ambasciatore israeliano presso la Santa Sede dal novembre 2021. Ed è un post al curaro, che indica il livello sempre più teso dei rapporti fra Israele e parte del Vaticano.
Anche se la visita di solidarietà all’ambasciata di Israele presso la Santa Sede del segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, è stata sostanzialmente apprezzata dal diplomatico israeliano, la furia è tutta verso i Patriarchi e i capi delle Chiese in Gerusalemme (di cui fa parte il neo cardinale Pierbattista Pizzaballa) che dopo il contestatissimo primo comunicato del 7 ottobre, venerdì scorso ne ha diffuso un secondo che ha fatto andare su tutte le furie la diplomazia israeliana.
Nel comunicato si scriveva: «Stiamo assistendo a un nuovo ciclo di violenze con un ingiustificabile attacco contro tutti i civili. Le tensioni continuano a crescere e sempre più persone innocenti e vulnerabili stanno pagando il prezzo più alto, come dimostra il drammatico livello di morte e distruzione a Gaza. L’ordine di evacuare il nord di Gaza e di chiedere a 1,1 milioni di persone – compresi tutti i membri delle nostre comunità cristiane – di trasferirsi a sud entro 24 ore non farà che aggravare una catastrofe umanitaria già disastrosa. L’intera popolazione di Gaza è privata di elettricità, acqua, carburante, rifornimenti, cibo e medicine».
Schutz sabato notte ha replicato in una lunga serie di tweet ai patriarchi e capi delle chiese di Gerusalemme definendo il comunicato «inquietante» e aggiungendo: «In realtà, il ‘ciclo di violenze’ (tipica espressione di falsa simmetria) è iniziato con un attacco criminale non provocato da parte di Hamas + Jihad islamica (i Patriarchi si astengono dal fare i loro nomi) che ha ucciso più di 1300 israeliani e di altre 35 nazionalità».
L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede nega anche le privazioni di Gaza (riportate non solo dai media internazionali ma anche da quelli israeliani) sostenendo invece che «i livelli di cibo e acqua sono monitorati quotidianamente e sono al di sopra della soglia che definisce la crisi umanitaria. C’è anche una quantità sufficiente di carburante e di elettricità nelle mani di Hamas, che però preferisce usarla per continuare le sue attività criminali terroristiche contro Israele piuttosto che aiutare i bisogni della popolazione che domina».
La chiosa di Schutz è molto dura: «L’unica parte che i Patriarchi nominano con una richiesta specifica è Israele, la parte che è stata ferocemente attaccata una settimana fa. Che vergogna, soprattutto quando questo viene dal popolo di Dio». E il tasto su cui si batte è sempre quello: l’equidistanza dei cristiani di Gerusalemme che fin dal primo giorno non hanno mai citato espressamente Hamas e hanno chiesto la cessazione delle violenze e delle attività militari da ambo le parti.
Non è una disputa solo localizzata a Gerusalemme, come ha ben spiegato l’editore di Crux John L. Allen jr: «In una certa misura», ha scritto, «le tensioni tra Israele e i leader cristiani della regione sono inevitabili, dato che la popolazione cristiana è in gran parte araba e palestinese e tende quindi a vedere le politiche israeliane allo stesso modo della popolazione palestinese in generale». Ma – ha aggiunto Allen jr- «è anche probabilmente inevitabile che, con l’avanzare della guerra, la posizione del Vaticano si allinei sempre più ai patriarchi e ai leader della Chiesa, e non solo perché Pizzaballa fa parte del gruppo ed è la figura più fidata del Vaticano sul campo – una fiducia che si riflette nel fatto che Francesco lo ha appena nominato cardinale nel concistoro del 30 settembre».