Sono stati droni giocattolo a mandare in tilt la difesa di Israele. Ora trema la Corea del Sud che ha lo stesso sistema
Il capo del servizio segreto israeliano Shin Bet, Ronen Bar, si è caricato sulle spalle tutta la responsabilità dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. «Non siamo riusciti», ha ammesso, «a sventare l’attacco, la responsabilità ricade su di me. Nonostante una serie di azioni intraprese, purtroppo sabato non siamo riusciti a fornire un preavviso sufficiente che ci avrebbe permesso di sventare l’attacco. Come capo dell’organizzazione, la responsabilità di ciò ricade su di me. Ci sarà però tempo per le indagini». Ma non solo in Israele da giorni ci si interroga su quale sia il buco nella rete di sicurezza che ha colto di sorpresa ogni sistema di difesa.
A spiegare fin dalle prime ore quel che è accaduto è stata certamente la riduzione degli investimenti del servizio segreto in “capitale umano”, nelle fonti aperte e nelle infiltrazioni di agenti a Gaza e nei territori palestinesi. Come ha spiegato la Reuters nei giorni scorsi, lo Shin Bet aveva del tutto sottovalutato i rischi che provenivano dalla Striscia, concentrandosi già nella primavera scorsa sulla situazione della Cisgiordania dove erano molte le evidenze di infiltrazioni di Hamas e il sospetto di trasporto clandestino di armi. Tanto è che a giugno si era ipotizzato un massiccio intervento militare lì più che a Gaza.
Al di là delle defaillance politico-strategiche che certamente ci sono, è il buco tecnologico quello che più preoccupa gli israeliani e non solo loro perché sistemi difensivi modellati su Iron Dome esistono ad esempio in Corea del Sud per proteggersi da eventuali attacchi della Corea del Nord. Parte del sistema è usato anche dagli americani per il controllo dei confini con il Messico. Non c’è solo lo scudo aereo per fermare i razzi che in gran parte ha funzionato anche il 7 ottobre. Ma la difesa si basa anche su un sistema di sensori a terra che era in grado di captare movimenti nei tunnel sotterranei e che in superficie era in grado di accorgersi di movimenti anche di piccoli animali che venivano ripresi da telecamere di sicurezza mobili (si girano su se stesse) situate su torrette lungo tutto il muro di ferro del confine e da lì trasmesse alla sala video centrale dei servizi. Il minimo movimento avrebbe dovuto fare scattare l’allarme e con quello sarebbero partite le truppe di terra.
Perché quel sistema di sorveglianza non abbia fatto scattare l’allarme è già noto ai servizi israeliani: le torrette sono state disattivate da Hamas attraverso molteplici piccole esplosioni che le hanno messe fuori uso. Come? È proprio lì il problema, perché Iron Dome con i suoi radar era in grado di captare e fare abbattere qualsiasi drone in avvicinamento, figurarsi se con cariche esplosive. Ma – è qualcosa più di una ipotesi – la rete radar era invece penetrabile da mini-droni commerciali, amatoriali, che non vengono avvertiti dallo scudo che avrebbe dovuto intercettarli.
I mini droni dunque hanno disattivato tutti gli allarmi delle torrette mandando in tilt il sistema di sicurezza a terra e non permettendo agli israeliani di cogliere i movimenti dei terroristi. Ora Israele ha convocato tutte le aziende che hanno fornito i sistemi di sicurezza che non hanno funzionato per porre immediato rimedio. La capogruppo di Iron Dome è Elbit System, che però è affiancata da un gruppo di altre aziende specializzate. Oddetect si occupa del software per l’analisi della videosorveglianza e il rilevamento in tempo reale di attività anomale. I droni di sorveglianza lungo il confine sono forniti invece da Percepto International, mentre Magal Security Systems curava i radar di sorveglianza a terra, i sensori e le telecamere termiche e Cawamo si occupava della analisi dei flussi video. Tutte aziende che lavorano anche alla difesa della Corea del Sud.