Più di dieci italiani bloccati a Gaza. Il pressing di Tajani (e dell’Europa) ma il confine di Rafah resta chiuso
Due giorni fa sembrava davvero che il valico a sud della striscia di Gaza, quello di Rafah, potesse aprirsi per lasciar uscire intanto, ma forse non solo, stranieri e cittadini con doppia nazionalità – in particolare statunitense-palestinese – e far entrare aiuti. Poi la situazione si è nuovamente bloccata e nella giornata di oggi, 17 ottobre, la zona del valico è stata nuovamente bombardata. Alcuni raid israeliani, uno dei quali sul campo profughi di Al Swat, avrebbero provocato un totale di 54 vittime e anche nel pomeriggio, come proverebbero i video della Cnn che mostrano fumo alzarsi in prossimità del cancello principale, la zona ha subito bombardamenti. Dal lato egiziano ci sono diversi camion in attesa di entrare con rifornimenti di acqua e viveri. Ma, appunto, nulla si muove.
Il gruppo di italiani
Ad aspettare di uscire da Rafah ci sono, tra gli altri, un numero di poco superiore ai dieci – la cifra esatta non viene comunicata ufficialmente per motivi di sicurezza – di cittadini italiani, anche con doppia nazionalità. Quasi tutti sono cooperanti che lavorano per organizzazioni umanitarie basate nella Striscia: alcuni da poco tempo, altri da diversi anni e quindi con una stabile residenza a Gaza. Tutti però, assicurano dalla Farnesina, sono stati contattati anche in questi giorni e mantengono un filo di comunicazione con il consolato italiano, anche se in alcuni casi non stanno più rispondendo al telefono neppure ai referenti delle organizzazioni umanitarie basate in Italia o in Europa. Del resto, con l’interruzione della fornitura elettrica, chi risiede nella Striscia usa i dispositivi elettronici, caricati con generatori, il minimo indispensabile. Sarebbe probabilmente questo il caso della cooperante Giuditta Brattini, dell’associazione Gazzella a Gaza, che si occupa di adozione a distanza di bambini palestinesi feriti nel corso dei raid. L’associazione lamenta di non riuscirci a parlare da 24 ore, ma dalla Farnesina assicurano che i contatti con il consolato non si sono interrotti. Tutti quelli che avevano comunicato di essere a Gaza – dove del resto si entrava solo con un visto israeliano – sono però stati ricontattati e si troverebbero a sud.
La trattativa
Tra i paesi in pressing per l’apertura del valico c’è, ovviamente, anche l’Italia. Il ministro Antonio Tajani ha confermato che al momento per la Farnesina è questa la priorità: “Le trattative sono in corso e comunque per noi questa è la priorità: così come abbiamo rimpatriato tutti i turisti, tutti i pellegrini italiani che erano in Israele e che volevano rientrare a casa, così stiamo facendo per coloro che sono nella Striscia di Gaza”, ha detto questa mattina a Radio 1. La pressione avviene in coordinamento con altri attori europei e con gli Stati uniti. La tempistica dell’apertura del valico, però, è delicatissima ed è possibile che venga confermata solo una volta avvenuta.
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