Il piano del governo per tornare al nucleare, l’indiscrezione del Sole 24 ore: «I primi cantieri per i reattori nel 2030»
Sul tavolo del governo, e in particolare del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, sarebbe approdato il piano per il ritorno al nucleare dell’Italia. Il contenuto delle 35 pagine del documento, presentato nelle scorse settimane al ministro Gilberto Pichetto Fratin dai vertici di Edison, Ansaldo Nucleare, Enea, Politecnico di Milano e Nomisma Energia, viene anticipato oggi, 22 ottobre, dal Sole24Ore. Che parla di un investimento complessivo da 30 miliardi di euro per costruire in tutto 15-20 mini centrali nucleari, con il primo cantiere aperto nel 2030, da concludersi entro il 2035, per proseguire al ritmo di un reattore l’anno fino al 2050. Data in cui potrebbe essere raggiunta la neutralità carbonica del Paese, risparmiando 400 miliardi rispetto a uno scenario di sole rinnovabili, anche perché, sostiene il dossier, non richiederebbe di rivoluzionare il sistema elettrico.
Il dossier
L’atomo potrebbe coprire il 10% del fabbisogno energetico del Paese, dimostrandosi complementare alle rinnovabili – la maggior parte dei reattori andrebbe al Nord – e ai vincoli di rete. Gli ulteriori benefici individuati dal documento sono «macroeconomici, ambientali e strategici, con un contributo alla reindustrializzazione del Paese», visto che «l’attuale filiera italiana ha già coperto tutte le fasi per la realizzazione dei nuovi reattori», con «una forte resilienza dimostrata dopo il referendum del 1986» e circa 50 aziende attive nel settore.
L’impatto economico
L’idea potrebbe generare un impatto positivo sul sistema economico per 100 miliardi di euro, oltre alla creazione di mezzo milione di posti di lavoro (più altri 180mila nei successivi 60 anni di esercizio). Certo, si legge nel documento, a condizione di fare i conti con un’opinione pubblica generalmente «positiva» sul nuovo nucleare, ma caratterizzata ancora da «elevata paura» tra i suoi detrattori. Ecco perché serviranno «campagne educative». D’altro canto da parte degli industriali – in particolare gli energivori (Federacciai, Confceramica, Assocarta, Federbeton e Assovetro) – è emerso un «interesse positivo per una tecnologia baseload decarbonizzata». Sarà necessario, comunque, «un ampio e duraturo supporto politico con la predisposizione di un Gruppo Tecnico Interministeriale sotto la Presidenza del Consiglio». Il piano in questione si concentra nello specifico su due reattori, ovvero gli Small Modular Reactors (Smr) e gli Advanced Modular Reactor (Amr). I primi potrebbero essere commercializzati già nel 2030, mentre i secondi dovranno attendere il 2040. In comune hanno la taglia ridotta, che agevola la produzione seriale con assemblaggio in sito, la modularità, ma genera anche maggior sicurezza, minore impatto ambientale, e agevola l’integrazione con le rinnovabili, oltre alla compatibilità con l’attuale rete elettrica. Insomma: lavori più veloci e costi minori, proprio quello che fino ad ora era mancato al «vecchio» nucleare.
I prossimi step
Quali sarebbero a questo punto i prossimi step? L’idea dell’esecutivo è arrivare in sei mesi a una road map condivisa, e in nove a delle vere e proprie guideline. Altra priorità sarebbe quella di «creare un Gruppo tecnico interministeriale sotto la regia della Presidenza del Consiglio». Cosa che consentirebbe, tra l’altro, di «definire la cornice normativa e istituire l’Autorità di Sicurezza Nucleare Italiana, avviare programmi di ricerca, partecipare a programmi e partnership europee, rafforzando il contributo di Enea». Intenzioni che appaiono coerenti al monito lanciato ieri, 21 ottobre, dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che ha sottolineato: «Credo che oggi sia il caso di ripensare seriamente al nucleare, bisogna fare riflessioni geopolitiche: non facciamoci trovare impreparati di fronte alle prossime emergenze».
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