Il processo sulla morte di Serena Mollicone si riapre: i giudici accolgono la richiesta del Procuratore Generale
La ricerca della verità sull’omicidio di Serena Mollicone, la 18enne di Arce, in provincia di Frosinone, trovata priva di vita nel giugno del 2001, non si ferma. Si riapre il processo: lo hanno stabilito i giudici della Corte d’Assise di Appello di Roma, ammettendo la rinnovazione dibattimentale. La prossima udienza è fissata per il 20 novembre, quando verranno ascoltati i consulenti delle parti. Dopodiché si deciderà se procedere anche con testimoni, come sarebbe nelle intenzioni del Procuratore Generale. Il quale questa mattina, scrive la Repubblica, ha consegnato un elenco con 44 nomi ritenuti «indispensabili» per l’accertamento della verità. Tra gli imputati Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, il figlio Marco e la moglie Anna Maria. E i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, quest’ultimo per l’istigazione al suicidio di Santino Tuzi, morto suicida nel Sorano dopo aver rivelato dettagli importanti ai fini dell’indagine. Per gli altri, le accuse vanno dall’omicidio al favoreggiamento. Ma nel luglio 2022 il tribunale di Cassino li aveva assolto tutti con formula piena. Tra i testimoni che secondo il Pg andrebbero sentiti c’è anche il luogotenente Gabriele Tersigni, ex comandante della stazione dei carabinieri di Fontana Liri. A lui il brigadiere Tuzi aveva affidato le sue confidenze.
La storia
Le tracce di Serena Mollicone si sono perse 22 anni fa, dopo che – secondo gli inquirenti – la ragazza si recò presso la locale caserma dell’Arma, per recuperare dei libri che aveva lasciato nell’auto di Marco Mottola, figlio dell’allora comandante Franco. Ci sarebbe però stata una discussione tra i due, in seguito alla quale il figlio del maresciallo le avrebbe fatto battere con violenza la testa contro la porta di un alloggio in disuso interno alla stazione, in uso alla famiglia del maresciallo. Mollicone, priva di sensi ma creduta morta, sarebbe stata dunque portata in un boschetto ad Anitrella, nel vicino Comune di San Giovanni Campano. Quando i Mottola si sarebbero resi conto del fatto che era ancora viva, l’avrebbero soffocata con un sacchetto, scrive la Repubblica. Adesso la procura generale si rivolge alla Corte d’Appello di Roma chiedendo di disporre una propria perizia di «ingegneristica robotica» sulla compatibilità del pugno di Franco Mottola con l’impronta sulla porta, per confermare o smentire la tesi difensiva secondo cui l’impronta sarebbe stata causata da un pugno scagliato dall’ex comandante in un altro momento.
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