Eziolino Capuano, l’allenatore del Taranto: «Urlo “vi squarto” ai giocatori perché un mister è come un padre»
Ezio Capuano detto Eziolino, allenatore del Taranto, è diventato di culto sui social per le esternazioni senza filtri. Oggi dice in un’intervista al Corriere della Sera che un po’ se ne vergogna. «Quello non sono io, è il mio gemello scemo», dice citando una frase famosa di Carlo Mazzone. Aggiunge che «un allenatore deve essere come un padre e far crescere i giocatori: i miei figli li baciavo mentre dormivano, ma di giorno gli davo torto». Per questo è «autorevole ed autoritario, ma senza follie». E spiega le sue regole: «Gli orecchini al campo non ci devono essere, la musica nello spogliatoio non deve esistere». Mentre riguardo l’audio in cui gridava «Vi squarto» ai suoi ragazzi, dice che non doveva uscire dallo spogliatoio.
Missioni impossibili
A Capuano piacciono le missioni impossibili: «Per questo mi sono paragonato a Santa Rita da Cascia, protettrice dei casi disperati. Ma anche a Robin Hood. Sono una specie di pronto soccorso: succede un incidente, chiamano me. Ho fatto imprese e vissuto degli esoneri». Racconta anche un tentativo di illecito sportivo: «In un Puteolana-Tricase di 21 anni fa mi fu chiesto di favorire il Tricase, vincemmo la partita e fui cacciato. La mia storia è una storia di grande professionalità e sensibilità: vivo per far felice la gente». Ha rifiutato la panchina dell’Empoli perché aveva un triennale con il Modena. Poi spiega il suo calcio: «L’essenza del calcio è risultato, il resto è aria fritta. Gioca bene la squadra che ha equilibrio. E un allenatore deve un essere bravo pittore: con i colori a disposizione deve fare un buon quadro. Ma nel calcio tutti possono parlare».
I soldi bruciati
Aggiunge che i soldi guadagnati li ha bruciati: «Penso a far vivere bene la famiglia. Ho guadagnato tantissimo, senza dare mai valore al denaro». Poi ricorda il gatto nero gettato durante una partita: «Non so chi l’ha buttato, ma in quella porta abbiamo preso tre pali. La vittoria è stata portare cinquemila tifosi. Al mio arrivo erano trecento». Infine, spiega perché cita spesso il manicomio di Montelupo: «Era vicino a Empoli e ci lavorava il suocero di Montella, che accompagnavo a Montelupo. Quando vedevo cose assurde, gli dicevo “sei da manicomio di Montelupo”. Ma uso spesso anche Alcatraz. Perché nel calcio si vede di tutto».
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