Francesco Totti e la scomparsa dei numeri 10: «Ora vince il fisico sulla tecnica. E quando non servi più il calcio ti abbandona»
L’ex capitano della A.S. Roma Francesco Totti parla oggi con Walter Veltroni sul Corriere della Sera del numero 10 in estinzione nel calcio ma anche del suo matrimonio finito con Ilary Blasi. Dice che Luciano Spalletti è l’allenatore ideale della Nazionale e seppellisce l’ascia di guerra nei confronti del mister con cui ha avuto screzi durante il suo ultimo anno da calciatore. Critica Mancini per il suo addio agli Azzurri e dice che gli piacerebbe lavorare con José Mourinho. E dice che se tornasse indietro nel tempo non sputerebbe di nuovo a Poulsen: «È la cosa più assurda e lontana dal mio modo di intendere il calcio e la vita». Con la quasi ex moglie, infine, dice che devono trovare insieme un equilibrio: «Per proteggere i ragazzi che sono la nostra più grande ragione di amore. Se ce la facciamo, si sentiranno bene e si sentiranno protetti».
Il numero 10
Totti dice che i numeri 10 nel calcio «sono spariti perché ora è un altro calcio. È un’altra visione, un altro modo di giocare. Ora prevale il fisico sulla tecnica. Nel tempo in cui giocavo io c’erano sempre, in ogni squadra in Italia o all’estero, uno o due giocatori di altissimo livello. C’erano uno o due numeri dieci potenziali. Insieme facevano il numero venti. Saremo stati fortunati, ma il calcio era più bello». Per rispetto sentimentale dice che il più forte che ha incontrato è Giuseppe Giannini: «Era il mio idolo, giocava davanti alla difesa e sapeva guidare tutta la squadra». Poi, tra quelli con cui ha giocato, fa il nome di Zinedine Zidane. Mentre con Del Piero si sentiva «uguale, ma opposto. Lui più veloce nel dribbling, calciava a giro. Io mettevo le palle di prima senza pensarci, d’istinto». Dice che nell’ultima fase della sua carriera ha preferito avanzare piuttosto che arretrare: «Alla mia età bisognava scegliere».
Zeman, Mazzone, Spalletti
Totti racconta che i primi allenatori con cui si è trovato bene sono stati Zdenek Zeman e Carlo Mazzone. Mentre Spalletti «se lo incontrassi lo saluterei con affetto, mi farebbe piacere. Credo che tra noi ci sia un profondo legame. Anche perché quello che abbiamo passato insieme, quando arrivò da Udine, è per me, nella mia vita, qualcosa di irripetibile. Sia in campo che nel quotidiano. Io uscivo una o due volte a settimana con lui a cena. Luciano era una persona piacevole, divertente, sincera. Nella fase finale il nostro rapporto è stato condizionato dall’esterno, specie dai dirigenti o consulenti della società, e non ci siamo più capiti. Anche io ho fatto degli errori, ci mancherebbe. Credo che tutti e due, se tornassimo indietro, non entreremmo più in conflitto».
Il falso nove
Con lui Spalletti ha inventato «un numero nove che diventava la fonte del gioco dalla trequarti in avanti. Avevo doti fisiche, andavo incontro alla palla e aprivo per Mancini, Perrotta, Taddei. Oppure, davanti alla porta, riuscivo a tirare e segnare. Ero imprevedibile. Per le mie caratteristiche tecniche, ma anche per il ruolo che Luciano si inventò. Forse sono stato un prototipo di numero dieci moderno». Mentre «il modo in cui è finita la mia storia con la Roma, sì, mi è dispiaciuto. La verità è che quando nel calcio non servi più non c’è più rispetto. Se Maldini, Del Piero, Baggio, io siamo fuori dal calcio significherà qualcosa, no?».
I vent’anni con Ilary
Con Ilary, dice, «abbiamo passato venti anni insieme, con tanti momenti molto belli. Ora vorrei solo che trovassimo un equilibrio tra noi capace di proteggere i ragazzi che sono la più grande ragione, per ambedue, di amore. So che non è facile, ma quello che c’è stato tra noi, per tanti anni, è stato importante. Se troviamo questo equilibrio noi due, i ragazzi staranno bene e si sentiranno protetti». Mancini invece «ha sbagliato tempi e modi. Ma la sua è una decisione che va rispettata». Ricorda Marcello Lippi: «Quando arrivava lui stavi sull’attenti». E dice che le sue più grandi soddisfazioni sono state lo scudetto del 2000-2001 e il Mondiale del 2006.
Quella volta di Conti e della crostatina
Svela infine un litigio nello spogliatoio della Roma «tra Panucci e Spalletti. Due tipi che prendono fuoco facilmente. Cominciano a discutere nel campo, poi appena finita la partita tutti a correre per evitare che si menino. Si sono affrontati nello spogliatoio e per separarli si è messo in mezzo Bruno Conti, che è piccolo piccolo. A Bruno, nel trambusto, è andata di traverso una crostatina che stava mangiando. Manca poco muore». Infine, il futuro: «Il mio sogno è di realizzare un altro sogno. Prima ne avevo uno, e sono riuscito a trasformarlo in realtà. Vorrei averne un altro, lo sto cercando. Ora vorrei solo vivere la vita con più serenità e tranquillità, dopo tutti i problemi che ci sono stati».
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