Iran, l’ultimo oltraggio nel giorno della “presa” del Forum Onu sui diritti umani. Niente cure per la Premio Nobel Mohammadi: «Ha rifiutato di indossare il velo»
La salute di Narges Mohammadi è a rischio. Le autorità carcerarie iraniane hanno bloccato il trasferimento della vincitrice del premio Nobel per la pace, tuttora detenuta al carcere di Evin a Teheran per «diffusione di propaganda antistatale», a causa del suo rifiuto di indossare l’hijab. La vicepresidente del centro per la difesa dei diritti umani, da sempre al fianco delle donne iraniane e contro l’oppressione delle stesse da parte del regime, soffre di problemi cardiaci e polmonari. «Il direttore del carcere ha detto che, secondo gli ordini delle autorità superiori, il trasferimento in ospedale senza velo è proibito e per questo è stato annullato», scrive la famiglia in un comunicato. A inizio settimana, un’équipe medica si è recata presso l’ala femminile della prigione dove è rinchiusa per valutare il suo stato di salute ed effettuare un ecocardiogramma. La tac – stando alle parole dei parenti – ha mostrato due vene con gravi ostruzioni e un’alta pressione polmonare, con la necessità di un’angiografia coronarica e di un esame polmonare. La notizia dell’ennesima violazione dei diritti da parte delle autorità iraniane, arriva nel giorno in cui l’Iran assume la presidenza del Forum sociale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. La scelta, presa a maggio e con la complicità di tutti i gruppi regionali all’Onu, ha scatenato proteste tra gli attivisti e sulla scena internazionale.
Dalla morte di Mahsa Amini, nel settembre 2022, le autorità di Teheran hanno intensificato la repressione degli oppositori al regime. Telecamere «intelligenti» per “sorvegliare e punire” le donne senza velo, manifestanti incarcerati con accuse fantomatiche. Armita Geravand, la ragazza di 16 anni finita in coma il 1° ottobre dopo essere stata picchiata dagli agenti perché non indossava il velo nella metro della capitale, è morta. Al suo funerale è stata picchiata e arrestata l’attivista iraniana Nasrin Sotoudeh perché «non indossava l’hijab». Elaheh Mohammadi e Niloofar Hamedi, le due giornaliste che avevano raccontato il caso di Amini, sono state condannate a sette e sei anni con l’accusa, tra le altre cose, di aver collaborato con il governo statunitense. Ma non solo: sono almeno 78 i detenuti giustiziati a morte nel mese di ottobre. Due, secondo l’ong Hengaw, nella giornata di ieri: Yadollah Farokhi e il cittadino afghano Sadeq Tajik nel carcere di Ghezel Hesar a Karaj, la più grande prigione di Stato della Repubblica islamica.
«Al momento della stesura di questo rapporto, non c’è stato alcun annuncio ufficiale dell’esecuzione di questi due prigionieri nei media autorizzati dal governo, in particolare quelli allineati con la magistratura», scrive l’organizzazione. Dall’inizio dell’anno, stando agli ultimi dati di Iran Human Rights, sono circa 596 le esecuzioni totali, dal 2010 quasi ottomila. «La pena capitale è utilizzata per creare timore nella società e per impedire nuove proteste», specifica Mahmood Amiry-Moghaddam, il direttore di Ihr. Per tutto questo, la nomina di Ali Bahreini, l’ambasciatore e rappresentante permanente della Repubblica Islamica dell’Iran alle Nazioni Unite, a capo del Forum per i diritti umani rappresenta per molti «un’amara presa in giro», scrive sui social Hai Ghaemi, direttore del Centro per i diritti umani in Iran.
November 2, 2023
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