Alberto Genovese, perché deve restare in carcere: «Ha più paura di ricadere nella droga che di stuprare ancora»
Si dicono sorpresi e allarmati su Alberto Genovese i giudici del Tribunale del Riesame di Milano che hanno negato la scarcerazione per l’imprenditore lo scorso 27 ottobre. Condannato a sei anni, 11 mesi e 10 giorni per due casi di violenza sessuale con uso di droghe su due modelle, Genovese secondo i giudici non è ancora pronto per un affidamento terapeutico. Nelle motivazioni della sentenza, i togati Cossia e Gerosa insieme alla consulenza di due esperti scrivono che «sorprende e in qualche modo allarma è che la sua paura sia quella di ricadere nell’uso di sostanze e non quella di reiterare delitti di natura sessuale connotati da estrema violenza». Tanto i giudici, quanto i periti, sono d’accordo sul fatto che Genovese «debba cambiare prospettiva di analisi, concentrandosi sull’analisi interiore e delle proprie parti “non sane”». Dopo essere stato ai domiciliari in una clinica per disintossicarsi dalla cocaina dal luglio 2021, Genovese era tornato in cella lo scorso 13 febbraio. Il percorso però fatto finora non sarebbe ancora sufficiente, spiegano i giudici, che hanno chiesto una nuova valutazione psichiatrica da parte degli esperti del carcere di Bollate. Ma prima da parte sua è necessario iniziare «un percorso di analisi, da ritenersi appena abbozzato e che invece questo Collegio ritiene di fondamentale importanza per poter esprimere una prognosi favorevole circa la futura astensione dalla commissione di reati, in particolare della stessa specie».
I giudici citano la relazione del team di psichiatri e dei colloqui avuti con Genovese, che sin dall’inizio della sua detenzione aveva legato i suoi comportamenti a uno «stato confusionale», dovuto alle droghe che secondo lui sarebbero «le uniche responsabili» delle sue azioni violente. L’imprenditore ha sempre spiegato di non essersi «mai reso conto» di quanto ha fatto, se non dopo aver visto i video degli abusi consumatisi nell’attico chiamato “Terrazza Sentimento”. Nelle relazioni, si attribuisce a Genovese una «fragilità narcisistica». Quei documenti, spiegano i giudici, «sottolineano come sia di fondamentale importanza proseguire nel percorso di analisi, di esplorazione e di comprensione di quelle fragilità personali che lo hanno portato a commettere i delitti». Un percorso che deve andare avanti in carcere, dove Genovese dovrà anche lavorare «sull’aspetto relazionale», visto che finora «non sembra essere mai stato in grado di organizzare in modo sano e costruttivo». I giudici ricordano come Genovese abbia «risarcito le parti offese… senza tentennamenti», grazie sopratutto alle sue «enormi disponibilità economiche». Per i giudici si tratta di «un dato non particolarmente significativo, mentre di ben altra valenza sarebbe stata una sua eventuale richiesta di accedere ad un percorso di mediazione con le vittime o il suo supporto ad organizzazioni» che trattano di «femminicidio e donne vittime di violenza». Genovese a dicembre dovrà affrontare un altro processo, partito come nuovo filone per altre accuse di violenze su altre donne.
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