Arrigo Sacchi e il consiglio di Berlusconi: «Si metta davanti allo specchio e dica che sono uno str…»
Arrigo Sacchi è stato l’allenatore del Milan e della Nazionale italiana. Ha portato i rossoneri alla vittoria dello scudetto e di due coppe dei campioni consecutive, mentre con gli Azzurri ha perso la finale mondiale del 1994 contro il Brasile. Oggi esce il libro Il realista visionario. Le mie regole per cambiare le regole, scritto con Leonardo Patrignani. E il mister parla della sua vita e della sua carriera in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Che parte con un aneddoto molto divertente che riguarda Silvio Berlusconi: «L’ultima volta che ho sentito il presidente fu due mesi prima della sua morte. Ripetemmo la nostra gag. Io che gli confesso di non riuscire a dargli del tu, lui che mi insegna come fare. “Si metta davanti allo specchio, e dica a voce alta: Silvio Berlusconi è uno stronzo, Silvio Berlusconi è uno stronzo”. Era davvero convinto che potesse funzionare».
Una vittoria senza merito
Ma lui non ci ha mai provato. In compenso, «quel giorno, nel salutarmi, mi disse: Arrigo chiama quando vuoi, in fondo sei una delle poche persone del mondo intero che non mi hanno mai dato dello stronzo. Non l’ho più fatto, e ancora me ne dispiace. Sentivo che era stanco. Ho voluto molto bene a quell’uomo. Gli devo tutto. A differenza di molte, troppe persone, che oggi fingono di non averlo mai conosciuto, io non me ne dimentico». Poi ripete il suo mantra: «Una vittoria senza merito non è una vera vittoria. Ma questo è un concetto che l’Italia, che è il regno dei sotterfugi, non capirà mai». E racconta di nuovo di quella volta che chiese a Franco Baresi di ispirarsi a Signorini, il “libero” del suo Parma: «All’inizio, nel Parma, lo chiamavo “lancetti”, perché faceva sempre lanci lunghi che costringevano me e il magazziniere ad andare per boschi alla ricerca della palla. Sa chi fu il primoche comprese il senso di quel che intendevo? Franco Baresi, il mio capitano. Una persona di straordinaria umiltà, un campione vero».
Van Basten
Poi Sacchi torna a parlare di Marco Van Basten, che di recente lo ha criticato: «Non mi sembra di essere stato duro con lui. Lo trattavo e lo valutavo come gli altri. Forse non gli andava bene questo. Ma a me non l’ha mai detto. Tra noi non c’erano mai problemi». L’autore dell’intervista Marco Imarisio però gli ricorda quando, nella primavera del 1991, sentì proprio il campione olandese a Milanello dire: «Arrigo mi ha rotto i cogl…». Lui ride e poi ammette: «Beh, forse qualche tensione c’è stata. Lui era convinto che noi italiani fossimo tutti ignoranti. Una volta gli risposi. Caro Marco, gli dissi, guarda che noi vincevamo i campionati del mondo quando voi olandesi stavate ancora sott’acqua. Lo feci ridere, e ne fui felice. Era una persona e un atleta fragile. Durante una partita di precampionato della nostra prima stagione, gli dissi che non serviva che andasse incontro alla palla a centrocampo. Vacci vicino, senza cercarla, e poi taglia dentro, che così ti picchiano di meno». Ma lui non gli diede ascolto: «E lo spaccarono. Era un fuoriclasse assoluto, un po’ testardo».
L’ipocrisia del calcio
Sacchi dice che il suo Milan era differente dalle altre squadre dell’epoca perché «aggredivamo e costruivamo. In un paese in cui si vivacchia noi eravamo l’eccezione». Poi parla del calcio di oggi: «Vedo commentatori, ex giocatori ed ex allenatori che in tv sostengono che tutto sia eccezionale. Poi a microfono spento dicono l’opposto». Per questo oggi guarda il calcio «con l’audio a zero. Aspettiamo gli eventi e gli avversari, seguendo la nostra indole. Poi cerchiamo di uccellarli, come diceva sempre un suo collega». Il collega di Imarisio che Sacchi non cita per nome è Gianni Brera. Il mister smentisce anche di aver pianto dopo la finale del 1994: «La mia cultura mi fa valutare nel giusto modo anche un secondo posto. Quella nazionale fu una squadra eroica. Tutti diedero quel che potevano dare. Il giovedì e il venerdì prima della finale, non li feci allenare. Erano distrutti dal clima infame. La nostra politica, sportiva e non solo, aveva fatto pressioni sulla Fifa per farci giocare sulla costa Est degli Stati Uniti, dove c’erano un caldo e una umidità bestiali, perché là si trovavano le comunità italiane più numerose. Comunque, il Brasile giocò meglio di noi. E sul podio, ero sereno. Senza lacrime».
L’allenatore del futuro e i numeri 10
Dice che tra i suoi colleghi merita una menzione speciale Roberto De Zerbi. E poi parla della scomparsa dei numeri 10, segnalata da Francesco Totti: «Anche questa critica, che mi viene rivolta spesso, rientra nella contrapposizione collettivo-singoli. A volte ci si dimentica che a calcio si gioca in undici». Infine, dice che al Milan «mandare via Paolo Maldini è stato un atto contro natura». E dice che vuole essere ricordato «come una persona schietta che si è impegnata molto per migliorarsi e per migliorare gli altri».
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