Milano, la storia dell’ex medico Leonardo Maiuri: «Ho 100 anni ma voglio continuare a lavorare»
Cento anni compiuti il 2 agosto, una patente ancora valida e una pensione per certi versi non voluta. Leonardo Maiuri, ex medico, è nato in Calabria nel 1923. All’età di 8 anni è arrivato a Milano, dove ha frequentato le scuole e l’università laureandosi in medicina. Tra i suoi pazienti, nel corso della sua lunga carriera, anche i sindaci del capoluogo lombardo Aldo Aniasi e Carlo Tognoli. La pandemia ha però segnato per Maiuri la prima battuta d’arresto: «A me il Covid mi ha fregato – racconta al Corriere della Sera Milano – non perché mi sia ammalato. È che prima facevo parte di una commissione per decidere sulle invalidità. Bloccato tutto per due anni e adesso non mi hanno ancora richiamato. Devo trovare qualcosa da fare, mica posso starmene qui con le mani in mano». Oltre al lavoro, la più grande passione del centenario sono i motori: «mi è sempre piaciuto guidare. Le due ruote, i Mosquito e la Lambretta. Ma a Milano faceva troppo freddo d’inverno. E così mi sono fatto la prima macchina: una Topolino 500 B». Erano gli anni subito dopo la fine della guerra», spiega a Carlo Baroni.
Un passo indietro
Il padre, funzionario delle ferrovie, voleva farlo studiare. «Tra le città del Nord scelse Milano. Qui ho fatto tutte le scuole: le elementari, le medie, il ginnasio e il liceo al Carducci. Infine l’università: facoltà di Medicina, specialità pediatria», racconta. Il camice bianco, Maiuri lo indossa nel 1991 all’ospedale Niguarda. In quegli anni finisce inoltre sulle pagine di cronaca per una battaglia ambientalista, contro l’inceneritore di Figino. «Avevo constatato che il numero delle persone affette da tumore era aumentato in numero considerevole in pochi anni. C’era un nesso evidente. Il Comune mi attaccò pesantemente, accusandomi di creare il panico. Ma alla fine l’ho spuntata». Poi l’avvio della carriera medica: «All’epoca c’era sì la specializzazione ma bisognava saper fare di tutto: il dermatologo, il cardiologo, l’ortopedico. Una volta venne una famiglia disperata: aveva dimesso il figlio dall’ospedale dicendo che non c’era più niente da fare. Mi pregarono di andare a casa da loro. Non so se fu per le mie cure o se avevano sbagliato diagnosi. Sta di fatto che il paziente si riprese», dice.
L’elisir di lunga vita?
«Me lo chiedono e qualche volta me lo domando anch’io. Poi guardo quello che ho fatto e non trovo segreti. Nessuna dieta miracolosa, nessuno stile di vita speciale», spiega l’anziano. «Ho trascorso l’esistenza senza negarmi niente. Anche qualche bicchiere di vino. Chissà forse ho il Dna giusto. Di sicuro tengo allenato il cervello. Non mi piace rimbambirmi davanti alla tv. Vivo in casa da solo e me la cavo. Mia moglie è mancata cinque anni fa. Adesso ho i figli: quattro», conclude.
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