Cosa è la Sindrome da deplezione mitocondriale di cui soffre Indi Gregory e perché la Corte di Londra ha disposto lo stop ai trattamenti vitali
L’ospedale Bambin Gesù di Roma era pronto ad accogliere Indi Gregory, una bimba inglese di appena otto mesi affetta da sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. Indi ha ricevuto infatti dal governo Meloni la cittadinanza italiana che in teoria le avrebbe permesso di essere curata dall’ospedale romano. Ma i medici del Queen’s Medical Center (QMC) di Nottingham, riscontrando che la bambina era destinata a vivere soffrendo, continuano invece a essere propensi a interrompere il supporto vitale. Secondo i dottori, il trattamento a cui è sottoposta la piccola non è solo inutile, ma le causa anche dolore. Così il giudici britannici, seguendo il parere dei medici, hanno ordinato la sospensione dei trattamenti vitali sulla base di un orientamento consolidato della giustizia inglese: «Il massimo interesse del minore». Il giudice Peel dell’Alta Corte di Londra ha infatti stabilito che il supporto vitale verrà rimosso nel pomeriggio di domani, giovedì 9 novembre alle 14 (15 italiane). Quindi non è stato solo vietato il trasferimento in Italia, ma anche quello in casa dei genitori, nell’ottica di tutelare i gli interessi della bambina. I genitori di Gregory hanno annunciato che presenteranno un ulteriore ricorso.
La battaglia dei genitori
I genitori Claire Staniforth e Dean Gregory, appoggiati dalle organizzazioni religiose Christian Concern e Christian Legal Centre, erano riusciti a ottenere per la loro figlia la cittadinanza italiana per tentare le cure all’Ospedale Bambin Gesù di Roma. Si è parlato di «cure specialistiche», ma secondo il tribunale britannico non ci sono «nuove prove mediche convincenti» per poter negare la sospensione del supporto vitale. «Non c’è nulla che suggerisca che la prognosi di Indi Gregory possa essere modificata in modo positivo dal trattamento dell’ospedale italiano». Per le stesse ragioni i genitori di Indi avevano perso i loro ricorsi alla Corte d’Appello e alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo, che hanno riconosciuto nella sentenza britannica le ragioni orientate verso il «massimo interesse del minore».
Cos’è la Sindrome da deplezione del Dna mitocondriale
Con la definizione di Sindrome da deplezione mitocondriale si indicano diversi disturbi genetici rari, caratterizzati dalla riduzione del numero di mitocondri all’interno delle cellule. Si tratta delle nostre «centrali energetiche» il cui Dna ereditiamo interamente dall’ovulo materno. Alimentano le funzioni delle cellule producendo oltre il 90% dell’energia di cui hanno bisogno. Meno mitocondri significa minor energia, fino a limitare la capacità delle cellule di svolgere correttamente le loro funzioni. I sintomi si fanno sentire entro i primi due anni di vita. La sindrome può danneggiare i muscoli, il sistema gastrointestinale, il cervello e il fegato.
Le persone affette possono avere sintomatologie che differiscono tra loro. Stando a quanto viene riportato nella sentenza approvata dal giudice Justice Peel lo scorso 13 ottobre, la piccola Indi si trova in terapia intensiva con disturbi metabolici che stanno portando a «danni progressivi al cervello», la cui integrità è minata anche da una «grave ventricolomegalia bilaterale» e «accumulo di liquido spinale»; infine la bimba ha sviluppato una Tetralogia di Fallot che compromette il «normale flusso sanguigno attraverso il cuore».
Le condizioni della bambina
Il Dottor Mario Riccio, consigliere Generale dell’Associazione Luca Coscioni e la professoressa ordinaria di pediatria all’Università di Parma Susanna Esposito spiegano a Open perché non esistono terapie in grado di salvare la bambina britannica, sulla base delle conoscenze mediche. «Basta guardare in cosa consiste la sindrome con prognosi infausta di cui soffre la bambina – spiega il Riccio -, è una malattia genetica dove le cellule non producono energia. Non c’è attività muscolare; con un peggioramento anche dal punto di vista neurologico. Ecco perché ha bisogno di un respiratore».
«Questa sindrome è una malattia rarissima di cui si conoscono pochissimi casi al mondo. Non superano in tutto i cinquanta – spiega Esposito -, la sintomatologia è caratterizzata dall’acidosi metabolica e da un quadro complessivo di insufficienza respiratoria che richiede nelle forme più gravi una dipendenza dal ventilatore. A seconda delle difficoltà nutrizionali può essere necessario anche il posizionamento della PEG, così da assicurare una nutrizione adeguata».
I medici britannici hanno parlato di trattamenti inutili e dolorosi. «Questo perché nei pochi casi che ci sono stati i pazienti non sono comunque sopravvissuti. E – continua Riccio – parliamo di una malattia mitocondriale manifestatasi pochi mesi dopo la nascita. Qui si tratta invece di un esordio alla nascita. La bimba non ha possibilità di sviluppare attività muscolare e respiratoria. Più avanti ci sarà una compromissione neurologica. Insomma, andrà in coma. Non ci sono terapie. La piccola è destinata a morire, entro quanto tempo non è possibile saperlo. Nei pochi casi che conosciamo nessuno è sopravvissuto più di un anno ma in questo caso la prognosi potrebbe essere ulteriormente ridotta».
«A fronte di questo ci sono altre patologie con una evoluzione simile per cui un approccio del genere viene effettuato – continua la Professoressa -, considerando che se il paziente sviluppasse, per esempio, una polmonite che si instaura sul ventilatore stesso, a quel punto non verrebbero implementate le misure considerate “interventi invasivi”».
Cosa dice la comunità scientifica
Questo trasferimento che dovrebbe esserci dal Regno Unito all’Ospedale del Vaticano non potrebbe contribuire a migliorare la sua situazione? «La rispondo facendole notare che in tutto il mondo soltanto l’Italia si è resa disponibile al trasferimento – aggiunge Riccio -, mentre la comunità scientifica internazionale riconosce bene questa situazione e nessun altro Paese occidentale avanzato si è espresso in senso contrario». Eppure senza sperimentazione è difficile trovare cure. «Quello delle terapie sperimentali è un altro discorso – puntualizza il dottore -. In questo caso entra in gioco la responsabilità genitoriale. La terapia sperimentale va bene se posso deciderla io. Qui abbiamo un soggetto che non può prendere alcuna decisione».
Forse si è persa l’occasione per creare un rapporto di fiducia tra medici e genitori. «Bisogna anche sapersi mettere nei panni dei genitori, che stanno perdendo una figlia – conclude Esposito -. Del resto, come accennavo, la dipendenza dal ventilatore non riguarda solo questa bambina, è una condizione che può verificarsi in una serie di altre malattie; quindi al netto delle questioni etiche e legali, e del fatto che non decidono sempre i genitori, va detto che questi sono percorsi che in genere si effettuano nel tempo, costruendo un rapporto di fiducia tra medici e genitori, accompagnandoli nella loro decisione».
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