Gaza, alla Camera i cooperanti usciti da Rafah: «In un mese superato il numero di morti della guerra in Ucraina. È una catastrofe umanitaria»
Hanno le voci rotte dal pianto. Fino a una settimana fa, Jacopo Intini, Amal Khayal e Giuditta Brattini erano rinchiusi nella Striscia di Gaza. Poi, il primo novembre, sono riusciti a mettersi in salvo, fuggendo dal valico di Rafah. I tre cooperanti operavano nella porzione di terra confinante con Egitto e Israele e che, dal 7 ottobre, è bersaglio dei bombardamenti di Tel Aviv. Nel pomeriggio di oggi, 8 novembre, sono ospiti della Camera dei deputati per una conferenza stampa organizzata con il sostegno di Laura Boldrini. Oltre alla presidente del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, ci sono Nicola Fratoianni e altri deputati del centrosinistra. La parola viene data subito agli operatori delle ong. Il capo missione di Ciss in Palestina, Intini, dice di vivere «come una sconfitta» l’uscita da Gaza: «Abbiamo dovuto interrompere le nostre operazioni sia per questioni di sicurezza, sia per lo sfollamento di tutto il nostro staff locale che vive ancora sotto i bombardamenti, senza acqua e senza cibo. Alcuni cooperanti hanno perso i membri delle proprie famiglie. Personalmente, vivo come una sconfitta il fatto che siamo usciti. È molto difficile accettare essere qui al sicuro, in Italia, mentre i nostri colleghi rischiano la morte ogni giorno. Non è assolutamente da prendere come una vittoria».
«35 mila persone in un rifugio con soli quattro bagni»
Intini porta al tavolo un confronto per far intendere le dimensioni della «catastrofe umanitaria» in corso a Gaza: «In un mese, nella Striscia sono state superate le vittime di 21 mesi di guerra in Ucraina: siamo a oltre 10 mila morti. Laggiù manca tutto, soprattutto negli ospedali. Le operazioni chirurgiche si fanno sul pavimento, senza anestesia, si usa aceto al posto dei disinfettanti. E gli ospedali accolgono anche le famiglie sfollate: abbiamo visitato rifugi che ospitano 35 mila persone e che hanno solo quattro bagni. Al mattino, la gente deve fare ore di fila per andare al bagno. Spesso manca l’acqua manca e i rischi igienico-sanitari sono enormi. Dopo che Israele ha interrotto anche il flusso nella rete idrica, si beve acqua di mare filtrata, mischiata ad acqua distillata per aumentarne la quantità». Il racconto del capo missione è denso di dettagli e critiche nei confronti di Tel Aviv e della comunità internazionale. «Il valico di Rafah è aperto in modo intermittente: oggi è stato chiuso di nuovo, non entrano aiuti e non escono le ambulanze coi feriti urgenti, come prevedeva l’accordo raggiunto con l’Egitto. Gli aiuti entrati in un mese sono l’equivalente di ciò che entrava in un giorno e tutto si ferma al Sud, non raggiungono il Nord».
«Più va avanti il conflitto, più la soluzione di due popoli due Stati potrebbe non esistere più»
«Anche il personale Onu ha enormi difficoltà ad agire e conta 87 membri uccisi, una cifra mai vista. Siamo arrivati al punto in cui persino le strutture delle Nazioni Unite sono state bombardate da Israele». Intini, operatore nei territori palestinesi dal 2019, conclude il suo discorso con una nota di pessimismo: «A Gaza ci sono un milione di bambini. Non tutta la popolazione appartiene ad Hamas e dire questo è un errore intellettuale. La popolazione di Gaza vuole solo vivere. C’è molto pessimismo, la gente si sente abbandonata dalla comunità internazionale. Bisogna spingere perché gli aiuti arrivino, perché si supporti la popolazione civile che è abbandonata a se stessa. Ma più va avanti il conflitto, più la soluzione di due popoli due Stati potrebbe non esistere più». Secondo i dati che riporta il dipendente di Ciss, sono 45 i rifugi dell’Onu colpiti direttamente o indirettamente dai bombardamenti. Seppure non tutti abbiano avuto la possibilità di abbandonare il Nord della Striscia «perché non aveva altri posti dove andare», al momento ci sono circa 660 mila sfollati ospitati dalle scuole o in rifugi di fortuna.
«La differenza tra il 1948 e ora è che quello che sta succedendo è sotto gli occhi del mondo»
I parenti di Amal Khayal, responsabile Ciss per la Striscia di Gaza, si trovano in alcuni di questi. «Noi palestinesi ci sentiamo disumanizzati e umiliati. È disumano costringere più di un milione di persone a lasciare da un giorno all’altro le proprie case e la propria vita in poche ore, come Israele ha fatto con la popolazione del Nord della Striscia di Gaza. Lavoro da 10 anni nella cooperazione internazionale, ma oggi ho la sensazione che la comunità internazionale abbia abbandonato i palestinesi. Credo in quello che faccio, ma è troppo grande la sensazione che ogni sforzo sia vano». La cooperante, 31enne di origine palestinese, non riesce a frenare la commozione. Esprimendosi in lingua inglese, riesce comunque a trovare le parole per critica la comunità internazionale: «Quando sento parlare di diritto umanitario mi viene da ridere, perché è disgustoso quello che stiamo vivendo. La differenza tra il 1948 e ora è solo una, cioè che quello che sta succedendo è sotto gli occhi del mondo. Ciononostante, non viene fatto nulla. In tutta la mia vita, non ho assistito ad altro che morte e mancanza di diritti umani. Eppure sono qui a dover ancora dimostrare al mondo intero che gli abitanti di Gaza sono persone normali, essere umani come voi. Sfortunatamente, però, non abbiamo mai potuto avere una vita normale».
«Negli ospedali, i medici devono ricorrere ad amputazioni, anche se i feriti sarebbero curabili in altro modo»
I racconti di Khayal sono strazianti e si concentrano sulla vita che bambini e anziani devono affrontare se vogliono fuggire da una morte quasi certa: o restano al Nord, nelle proprie case, ma sotto i bombardamenti israeliani appunto, o cercano riparo nei rifugi per gli sfollati al Sud. «Una signora di 75 anni è stata costretta a fare pipì all’esterno, su un muro, perché ai bagni c’era un coda di ore». E ancora, riporta la storia di una bambina salvata da sotto le macerie ma «con un’anca frantumata». E ai giornalisti domanda: «Che vita potrà avere?». Giuditta Brattini, cooperante di Gazzella Onlus, ha assistito in prima persona ai bombardamenti che hanno interessato aree «molto popolate, non solo le case ma anche i mercati». Racconta di una situazione al collasso. «Negli ospedali, i medici a volte devono ricorrere ad amputazioni, anche se i feriti sarebbero curabili in altro modo, ma mancano i medicinali adatti». Le ambulanze, dice, viaggiano con tre, quattro bombardati insieme a bordo, «e accanto a loro ci sono le buste di plastica nelle quali conservano gli arti». Brattini condanna il «silenzio assordante della comunità internazionale». E denuncia: «Le risoluzioni Onu sono carta straccia e quindi Israele sente di avere sempre il semaforo verde».
«Israele deve far entrare giornalisti e reporter internazionali affinché possano testimoniare ciò che sta accadendo»
«L’azione del 7 ottobre è stata grave, la risposta è stata pesante, perché coinvolge i civili. Non abbiamo due eserciti che si scontrano, abbiamo un esercito, quello israeliano, mentre dall’altra parte ci sono i civili», sottolinea la cooperante, da decenni attiva nella Striscia. «Siamo alla fine, non c’è più acqua, manca l’energia elettrica, la popolazione è allo stremo, chiediamo acqua medicine per poter operare in maniera adeguata. Gli ospedali oramai ricevono persone, ma i feriti sono sul pavimento, aspettano fino a 24 ore prima di essere seguiti. Ormai si fanno moltissime amputazioni degli arti. Gli aiuti umanitari che stanno arrivando non sono sufficienti. In condizione di normalità entravano 500 convogli, ora ne entrano 25. Abbiamo oltre un milione di evacuati, le strutture non sono adeguate ad accogliere le persone, manca la sicurezza igienico-sanitaria, la popolazione è in pericolo. C’è bisogno che Israele faccia entrare giornalisti e reporter, è importante essere lì, si coglie la misura di ciò che sta accadendo, se volgiamo parlare di violazione dobbiamo testimoniarlo». Ad esempio, Brattini racconta quanto avvenuto in un ospedale oncologico al Nord di Gaza, dove sono ricoverati circa 60 bambini malati di cancro: «Israele ha dato ordine di evacuazione per quella struttura, ma non esistono altri ospedali nella Striscia che potrebbero garantire delle cure adeguate a quei bambini. È come condannarli a morte».
«Non è sufficiente dire che sotto gli ospedali ci sono i tunnel per bombardarli»
Da Brattini le accuse a Israele sono diverse: «Non è immaginabile che un ministro dello Stato “democratico” di Israele dica che il suo Paese farà una guerra contro “gli animali” riferendosi ai palestinesi. Nessuno della comunità internazionale ha preso dei provvedimenti. Non è sufficiente dire che sotto gli ospedali ci sono i tunnel per bombardarli, prima bisogna provarlo. Anzi Israele deve dimostrare cosa c’è sotto prima ancora di emanare ordini di evacuazione. Io ci vado da 20 anni a Gaza, e ho visto costruire gli ospedali. Poi non so se proprio lì sotto ci hanno fatto i tunnel, ma certo è che non puoi uccidere decine di civili perché devi stanare un terrorista». Ancora: «I corridoi di sicurezza che Israele ha indicato non sono veri corridoi di sicurezza, poiché i civil vengono bombardati anche mentre sono in cammino per muoversi verso Sud». Da tutti i relatori arriva la richiesta di un immediato cessate il fuoco.
«La civiltà è il rifiuto della vendetta, ma Israele si sta vendicando»
A chiudere l’incontro è l’onorevole Boldrini, che afferma: «La civiltà è il rifiuto della vendetta. Adesso, stiamo assistendo a una vendetta di Israele». Una sintesi dei discorsi precedenti al suo. «All’indomani del 7 ottobre, abbiamo affermato che Israele deve difendersi nel rispetto del diritto internazionale. Dopo quello che abbiamo sentito, possiamo dire che questo diritto internazionale si stia osservando?», domanda la deputata del Partito democratico. «Dopo quello che abbiamo visto, in coscienza personale, nessuno può rispondere di sì. Israele ordina evacuazioni forzate degli ospedali, non fa entrare viveri e farmaci, bombarda ambulanze. Siamo di fronte a un ripudio di tre principi fondamentali di Ginevra: il principio di distinzione, di proporzione e precauzione. Questi tre principi per la protezione dei civili in tempo di guerra sono stati disattesi». Boldrini esorta tutti ad appoggiare la Corte penale internazionale, che sta indagando sui crimini di guerra commessi da Hamas, ma anche da Israele.
«Cosa pensano i nostri governanti della violazione dei diritti umani?»
Poi, la deputata conclude attaccando il governo Meloni: «Dal Pd ai 5 stelle, come Parlamento abbiamo chiesto più volte all’esecutivo di riferire in Aula sulla linea politica in Medio Oriente. Noi non sappiamo quale sia l’indirizzo del governo in questo momento: l’Italia ha accolto Netanyahu come un grande alleato, e si è astenuta all’Onu dalla risoluzione sulla tregua umanitaria, e non sappiamo perché. Si sta svilendo l’azione del Parlamento. Sappiamo dalle agenzie che una fregata italiana è diretta a Gaza: abbiamo sentito che potrebbero essere di supporto alla marina americana oppure agli ospedali da campo. Cosa è vero? E se sono lì per gli ospedali, con quali interlocutori a Gaza si starebbero confrontando i nostri ministri? Quello che accade lì è veramente terrificante, perché quando si uccidono più di 10 mila persone si tratta di una azione indiscriminata e questo è contrario al diritto internazionale e al diritto umanitario internazionale. Così come lo è chiedere l’evacuazione forzata, chiedere agli ospedali di chiudere i battenti. Che cosa pensano i nostri governanti di fronte a queste notizie? Perché gli esperti di diritto parlano chiaro: sono violazioni del diritto umanitario e sono crimini. Anche di questo sarebbe importante discutere in Parlamento».