L’economista Zucman: «Anche in Italia, i miliardari sono gli unici che riescono davvero ad evadere le tasse. È miope non parlarne» – L’intervista
«La tassazione dei patrimoni dell’1% capitale più ricco del pianeta può aiutare l’economia di molti paesi e rafforzare la fiducia nel sistema economico. Perché ormai i cittadini sanno che sono i ricchi, tramite sistemi consolidati, coloro che più facilmente evadono (o eludono ndr) le tasse». La granitica convinzione dell’economista Gabriel Zucman, classe 1986, professore a Science Po e Berkley, direttore dell’Osservatorio fiscale sulla tassazione europea – che ha appena pubblicato l’ultimo report – e recentemente vincitore della medaglia John Bates Clark per i suoi «fondamentali contributi nel campo della scienza delle finanze», non è scalfita nemmeno dai dati sull’andamento dei versamenti fiscali in Italia, con gli ultimi dati che parlano di un 47% di cittadini che non presentano dichiarazione fiscale, risultando a carico di qualcun altro, e un poco credibile 13.95% di italiani come unica percentuale a dichiarare redditi superiori ai 35mila euro.
Professor Zucman, nel report che l’Osservatorio ha pubblicato quest’anno, oltre agli ultimi dati fate una valutazione sugli ultimi 10 anni di politiche fiscali in Europa e non solo. Quali sono le conclusioni alla luce del lavoro fatto in tutto questo periodo di tempo?
«La questione dell’evasione fiscale è stata al centro della politica internazionale negli ultimi 15 anni, con una serie di iniziative importanti, e quello che cerchiamo di fare in questo report è valutare cosa ha funzionato, cosa non ha funzionato e cosa resta da fare. Quindi, il breve riassunto è che abbiamo cose buone, cattive e pessime. La parte buona è che grazie allo scambio automatico di informazioni bancarie, c’è meno evasione fiscale attraverso conti bancari nascosti off-shore. Perché le banche, anche quando si trovano nei paradisi fiscali, devono riferire alle autorità nazionali degli altri paesi sui conti che gestiscono. Questo è un bene. Si tratta di un nuovo modello di cooperazione internazionale che è emerso abbastanza rapidamente e che dimostra qualcosa di molto importante, ovvero che l’evasione fiscale non è una legge di natura».
Cosa intende?
«Per decenni abbiamo pensato che non si potesse fare nulla contro il segreto bancario. Si affermavano cose come “Se la Svizzera vuole avere leggi molto rigide sulla segretezza bancaria cosa possiamo fare? I ricchi nasconderanno sempre lì i loro beni”. Ora sappiamo che si può intervenire e che queste politiche possono fare davvero la differenza. Poi c’è la parte negativa. E la parte negativa è che l’evasione fiscale, da parte delle multinazionali, continua. C’è un trilione di euro, in profitti, che viene spostato ogni anno verso i paradisi fiscali. Nel 2021 c’era una grossa aspettativa perché 140 paesi e territori si dissero d’accordo sul fatto che il 15% dei profitti delle multinazionali andava lasciato alla tassazione nazionale. Ma era un accordo molto debole e non sta facendo la differenza. In pratica le aziende multinazionali stanno riuscendo a pagare meno del 15%. Quindi resta ancora molto da fare. Infine, c’è poi c’è la parte pessima, che evidenzia la mancanza di qualsiasi tentativo di occuparsi di quello che probabilmente è il tema chiave di oggi, ovvero un’aliquota fiscale effettiva per i miliardari molto bassa e molto poco degna. In un Paese come l’Italia, secondo i numeri più aggiornati che abbiamo, i diversi gruppi sociali pagano circa il 40, 50% del loro reddito in tasse, se includiamo le dirette e le indirette, le tasse sui salari, l’imposta sul reddito, l’Iva e così via. Ma i miliardari, invece, pagano il 20% del loro reddito in tasse o imposte».
Come fanno?
«Perché? Perché quando si è molto ricchi, è molto facile strutturare la propria ricchezza in modo tale da generare poco reddito imponibile. Così si evita l’imposta sul reddito. La proposta principale che formuliamo nel rapporto è quella di fissare un’imposta minima per i ricchi, così come esiste un’imposta minima, molto imperfetta, per le imprese. Dovremmo fare lo stesso per i miliardari globali, la proposta principale è una tassa minima del due per cento sulla ricchezza dei miliardari globali. Si tratta di meno di tremila individui. Eppure tassarli farebbe una enorme differenza perché hanno una grande ricchezza e quindi, secondo i nostri modelli economici, la tassa potrebbe raccogliere quasi 250 miliardi di dollari in più di entrate fiscali ogni anno».
Che impatto politico ha questa proposta? Chi vi sta dando maggiormente ascolto?
«Penso che ci sia un nuovo slancio verso idee del genere, perché c’è un numero crescente di prove, che sta diventando difficile da ignorare, sul fatto che i molto ricchi pagano tasse molto basse. Per fare un esempio, nel 2021, negli Stati Uniti, ProPubblica ha rivelato che una serie di miliardari, come Besoz, Musk e altri pagano zero tasse sul reddito. Oltre a questo ci sono molti studi in Italia, Francia, Paesi Bassi tra gli altri, che hanno quantificato questo aspetto in modo più sistematico e hanno scoperto che non si tratta di casi isolati ma c’è un vero e proprio modello di tassazione basso per i plurimiliardari. E’ una cosa molto difficile da accettare. Naturalmente, possiamo discutere su quale dovrebbe essere il livello adeguato di progressività della tassazione, ma sapere che la fascia più alta della società sia legalmente autorizzata a pagare molto meno della classe media o della classe operaia… Credo che quasi tutti siano d’accordo sul fatto che questo non è sostenibile, non è accettabile. Non può che aumentare il malcontento nei confronti del sistema fiscale e della politica e aumentare le disuguaglianze. Credo che tutti riconosciamo che non è sostenibile e dobbiamo fare qualcosa».
Che impatto stanno avendo queste rivelazioni?
«L’atteggiamento della politica sta cambiando in molti paesi. Così, negli Stati Uniti, ad esempio, Joe Biden, che per molto tempo ha fatto una campagna contro le proposte di tasse sulla ricchezza, ora è favorevole e ha introdotto la tassa sui miliardari nel suo programma presidenziale. In Brasile – che l’anno prossimo avrà la presidenza di turno del G20 – c’è un interesse per mettere questa tassa minima sui miliardari nell’agenda della futura discussione del G20 sulla tassazione internazionale. Quindi, per farla breve: 10 anni fa abbiamo fatto progressi sulla segretezza bancaria, poi c’è stata una spinta internazionale per la tassazione delle imprese multinazionali e ora, nei prossimi cinque o dieci anni, la priorità sarà la tassazione minima per i miliardari».
La politica italiana ha molta difficoltà a parlare di evasione fiscale e di tassazione sulla ricchezza. Di recente, quando il Partito democratico ha detto di voler tassare le rendite milionarie per pagare l’università ai giovani si è risposto “no, questo fermerà l’economia” e l’idea è stata accantonata. L’attuale governo di centrodestra era intenzionato a tassare gli extraprofitti bancari ma ha poi fortemente rivisto la proposta. Cosa pensa di questa altalenanza del dibattito pubblico italiano?
«L’Italia, come tutti i paesi che hanno bisogno di fare investimenti pubblici nell’istruzione, nella sanità, nelle infrastrutture, nella lotta contro la povertà e il cambiamento climatico ha bisogno di entrate fiscali. Tutti i paesi che sono diventati ricchi lo sono diventati perché hanno investito molto nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria di qualità, nelle infrastrutture pubbliche che funzionano e aiutano la produttività delle imprese. E’ necessario continuare perché se il processo si interrompe, uccide la crescita dell’economia e aumenta le disuguaglianze. Nessun Paese è diventato prospero grazie a tasse basse. I paesi che hanno tasse basse sono i paesi a basso reddito e in via di sviluppo. Dunque, è necessario spiegare che il percorso per ottenere più prosperità e più uguaglianza nel futuro, non passa attraverso “meno tasse”. Non è detto che siano più tasse nel complesso, ma serve un sistema fiscale più equo. Abbiamo bisogno di raccogliere i deficit fiscali degli attori economici che oggi pagano molto meno di quello che dovrebbero pagare. Bisogna partire da lì. In Italia c’è una grossa fetta di popolazione che paga molte tasse, quindi il punto non è aumentare le tasse di tutti, ma aumentarle ai molto ricchi e ai grandi attori economici, che sono anche gli attori economici che hanno maggiormente beneficiato dell’organizzazione e dei cambiamenti tecnologici degli ultimi quarant’anni. Queste persone sono diventate molto ricche e mentre la loro ricchezza pre tasse cresceva noi abbiamo presso a tassarli sempre meno. Dobbiamo tassare di più i principali vincitori della globalizzazione e tassare meno la parte della società che ne ha beneficiato meno o ne è stata danneggiata. E, dal mio punto di vista, con questi soldi, finanziare gli investimenti pubblici critici di cui abbiamo bisogno per la crescita dell’economia».
Qualcuno potrebbe obiettare che i ricchi in questa condizione lascerebbero l’Italia o l’Europa evitando di spendere qui i loro soldi…
«La cosa fondamentale da capire è che la concorrenza fiscale, proprio come l’evasione fiscale, non è una legge di natura, ineluttabile. Possiamo scegliere di tollerare la competizione fiscale tra paesi, ma possiamo anche regolare questi rapporti. Attualmente, secondo le leggi italiane, se qualcuno sceglie di trasferirsi in Svizzera, l’Italia smette di tassarlo. Immediatamente, a partire dal 2024, quella persona non ha più tasse da pagare in Italia. Ma non è l’unica scelta possibile. L’Italia potrebbe dire, invece: “Hai passato molto tempo in Italia e sei diventato molto ricco, in parte perché hai beneficiato delle scuole italiane, dei beni pubblici e dalle infrastrutture. Quindi, ti continueremo a tassare parzialmente per un certo numero di anni”. Non è naturale diventare miliardari nel proprio paese e una volta diventati ricchi dire: “Ok, ciao ciao. Ora mi trasferisco in un paradiso fiscale e smetto di pagare le tasse”. No, continui a pagare perché hai ricevuto molto dalla società. E per prendere una decisione del genere non servono accordi globali. L’Italia può decidere in qualunque momento di continuare a far pagare i ricchi espatriati».
In Italia c’è un problema di evasione fiscale endemica. I dati ci dicono che di fatto il sistema economico si regge su una minoranza che paga i servizi pubblici per tutti gli altri, con un 11,6% di Pil nascosto
«In realtà i dati ci dicono che la maggior parte delle persone che evade le tasse non riesce comunque a pagare zero tasse. Ovviamente ci sono dei casi che riescono a fare tutto nel mercato nero, ma la differenza fondamentale è che i miliardari pagano come unica tassa l’imposta sul reddito. Quindi, se riescono ad evadere l’imposta sul reddito di fatto non pagano alcuna tassa. Per il resto della popolazione ci sono molte tasse che non puoi effettivamente evadere, ad esempio l’Iva, o l’imposta sul reddito. Solo i milionari possono evadere completamente le tasse».
Può spiegarci meglio i dati raccolti sull’Italia?
«Con i nostri dati (vedi il diagramma ndr) abbiamo fatto una valutazione confrontando l’intero ammontare di tasse, Iva, imposte sui salari, imposte sul reddito, imposte sulla proprietà, tutto, che i cittadini di alcuni paesi pagano, mettendo da un lato a quale percentuale di ricchezza appartengono e dall’altro quanta percentuale di tasse pagano. La linea rossa è l’Italia e le persone tra il 20mo e il 30mo percentile di ricchezza – cioè i redditi molto bassi – pagano circa il 50%, a volte anche di più, a volte quasi il 60% del loro reddito in tasse. Ok, può esserci qualche evasione, ma visto che non riescono ad evadere tutto continuano in media a pagare molto. Ciò che è davvero sorprendente è che se si guarda a ciò che accade all’interno 1% più ricco, c’è un drammatico calo della progressività fiscale con i miliardari che pagano a mala pena il 20% del loro reddito in tasse. Questa è la realtà della società italiana oggi».
Quindi lei non pensa che l’endemica evasione fiscale abbia un grande impatto? E in ogni caso pensa che ci sia una connessione con la difficoltà della politica a toccare il tema?
«Penso che sia importante concentrarsi su dove sono i soldi. E quando si guardano quelle statistiche, chiaramente il denaro da riscuotere, il deficit fiscale, le tasse che oggi non vengono riscosse, sono essenzialmente ai piani alti della distribuzione della ricchezza. Non sto dicendo che non ci sia evasione fiscale generalizzata, probabilmente c’è. Ma quantitativamente, in termini di quanti soldi possiamo raccogliere per le nostre scuole, per le nostre università, per gli ospedali, il “malloppo” si trova tra le persone molto ricche e le aziende multinazionali».
In Europa questa battaglia è condivisa?
«Molte persone sono ormai sono convinte che non è possibile avere un sistema fiscale giusto da un lato e un’economia globale integrata dall’altro. Tante persone, anche a sinistra, hanno in un certo senso rinunciato a utilizzare il sistema fiscale per correggere la disuguaglianza o per generare entrate tassando i ricchi. Stanno commettendo un errore, ok? Perché ci sono molti modi per combinare apertura economica, integrazione europea da un lato e progressività fiscale dall’altro. Ripeto, la concorrenza fiscale non è una legge naturale. Scegliamo la competizione, proprio come possiamo scegliere l’armonizzazione. Scegliamo di schierarci dalla parte degli accordi di libero scambio che tacciono sulla tassazione, ed è quello che facciamo da 40 anni. Ma possiamo fare altre scelte. Possiamo dire: “Guarda, se vuoi avere accesso ai nostri mercati, avrai un certo importo minimo di tasse da pagare e questo farà parte di questo accordo di libero scambio che firmeremo”. Quindi, ci sono milioni di modi per organizzare e regolare la globalizzazione ed è perfettamente possibile avere un’alta tassazione dei più ricchi, tassando i non residenti, tassando gli stranieri che hanno molti beni in Italia, per esempio, tassando le multinazionali straniere, che devono pagare le tasse per stare nell’Unione Europea e in un’economia globalizzata».
Quando organizza incontri nei singoli paesi che impatto registra sulla politica locale? In Italia ad esempio?
«Le persone guardano a ciò che stiamo dicendo. E come ho detto, c’è già stata qualche evoluzione negli ultimi anni. Sa, l’evoluzione più sorprendente a cui ho assistito è quella negli Stati uniti, dove vivo da parecchi anni. Nel 2019, 2020, la maggior parte delle persone nel Partito Democratico, persone come Joe Biden, erano fortemente contrarie alla tassazione dei miliardari e facevano campagna contro le proposte che erano state dai soli Bernie Sanders ed Elizabeth Warren. E ora che sono al potere, hanno ribaltato la loro posizione e dicono apertamente: “I miliardari non pagano abbastanza, abbiamo le prove. Ci deve essere una tassa sul patrimonio e i miliardari”. Gli atteggiamenti politici cambiano e possono cambiare. Nel 1986 Joe Biden, che allora era senatore, ha votato per la grande riforma fiscale di Reagan che tagliava l’aliquota fiscale marginale massima sul reddito dal 50% al 28%. Questo è il genere di politica che Biden difendeva in quel momento. E ora, come si sa, ogni settimana twitta e parla di come i miliardari non pagano una giusta aliquota e di come va affrontato un massiccio aumento delle tasse. Quindi la conversazione è in evoluzione».
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