Il patriarcato, il “bravo ragazzo”, l’individualismo social: cosa c’è dietro il femminicidio di Giulia Cecchettin
Dietro il femminicidio di Giulia Cecchettin c’è il patriarcato? Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, spiega che quello sui “figli del patriarcato” «è uno slogan nato negli anni Settanta quando le donne hanno scoperto che i responsabili di violenze non sono malati psichiatrici. Si tratta dei cosiddetti uomini normali senza alcuna patologia esplicita. Come Turetta. Maschi abituati sin da piccoli a godere del privilegio di un surplus di potere all’interno di relazioni intime. Questa disparità di potere è al centro della Convenzione di Istanbul ratificata dal Parlamento nel 2013. La violenza contro le donne è qualcosa di sistemico, attraversa tutti i ceti sociali e tutte le società. In Italia questa cultura patriarcale fa una vittima di femminicidio ogni due giorni».
La tipologia
In un’intervista al Messaggero la presidente dell’associazione che gestisce il numero anti-violenza 1522 spiega anche la questione del “bravo ragazzo”: «Banalmente rientra in questa tipologia, non è psichiatrico o con dipendenze. Penso che quando rientrerà in Italia ci sconvolgeremo nel vedere che quel ragazzo non ha nulla di mostruoso in sé. La cultura patriarcale nella quale siamo immersi farà sì che si ascolteranno valutazioni e analisi che tenderanno a sminuire il suo gesto criminale». Infatti il trattato della Convenzione di Istanbul prevede tre punti: «prevenzione, protezione alle vittime e persecuzione degli autori delle violenze. Da noi si fa ancora pochissima prevenzione, spesso chiamando esperti non all’altezza. Si fa poi poca protezione: ci sono pochi centri e case rifugio e non soddisfiamo nemmeno quel 2% dei posti letto che l’Europa richiede. Infine la persecuzione degli autori è lacunosa. Oggi piangiamo Giulia e le altre 102 donne, ma è ora di dire basta».
La volontà di apparire e l’educazione affettiva
La psicologa e criminologa Elisa Caponnetti invece dice che la questione del patriarcato fa parte di un problema più complesso: «Le cause sono molteplici e riguardano diversi aspetti della vita sociale: si va dalla volontà di apparire perfetti fino alla mancanza di una vera educazione affettiva. Ma non solo: io affronterei anche il problema della assoluta mancanza di responsabilizzazione dei giovani e spesso anche degli adulti». E spiega: «Abbiamo assistito a violenze di ogni genere, dagli stupri di gruppo all’uccisione di animali, tutti ripresi nei video e inviati agli amici: qui subentra anche il ruolo delle famiglie, spesso assenti, dei social e dei media».
Il fallimento
Ma secondo Caponnetti c’è anche un problema diverso: «Un ragazzo abituato ad avere tutto, ad essere sempre giustificato in ogni sua azione, non accetta il fallimento. Ormai i ragazzi hanno un modello collettivo e di condotta in cui prevale l’individualismo. Pensiamo ad esempio ai social: volersi mostrare infallibile, invincibile significa puntare ad una iper realizzazione di sé. Quando la perfezione viene meno, scatta la rabbia. Si tratta di personalità fragili, incapaci di avere slanci emozionali ed affettivi, neanche verso chi dicono di amare».
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