Nel 2022 una famiglia su due ha rinunciato alle visite mediche per i costi troppo alti o la lunga attesa
Nel 2022, quasi la metà delle famiglie italiane (il 47,9%) ha dovuto rinunciare almeno parzialmente a un servizio sanitario per i costi delle prestazioni o per le liste di attesa troppo lunghe. Lo ha ricordato Elena Bottinelli, Head of Digital transition and transformation del Gruppo San Donato, nel discorso con cui sabato 18 novembre ha inaugurato l’anno accademico 2023-2024 della Scuola Imt Alti Studi di Lucca. Nella sua lectio magistralis, la dirigente del gruppo San Donato ha affrontato le sfide (presenti e future) che la sanità italiana si trova ad affrontare. E per farlo al meglio, Bottinelli ha suggerito di ripartire dai tre principi fondanti del Servizio sanitario nazionale, introdotto in Italia nel 1978: universalità, uguaglianza ed equità. «È arrivato il momento di sfruttare la trasformazione digitale della sanità per mettere a punto nuovi modelli organizzativi e di finanziamento che consentano di mantenere i cardini del Sistema sanitario nazionale», ha detto Bottinelli agli studenti della Imt di Lucca.
La carenza di medici
Quando si parla di futuro della sanità italiana, Bottinelli vede innanzitutto due sfide: una sociale e una digitale. Per quanto riguarda la prima, la preoccupazione è duplice: da un lato il progressivo invecchiamento della popolazione, dall’altro la carenza di personale sanitario. La media nazionale di infermieri è di 6,2 ogni 1000 abitanti, ben al di sotto della media Ocse del 9,9%. A pesare, almeno nel caso dell’Italia, è il problema degli stipendi. «Il 40% dei medici oggi sarebbe interessato a svolgere la professione all’estero, non solo per fare un’esperienza qualificata, ma anche per il miglior trattamento economico e la maggiore considerazione riconosciuta e riservata ai professionisti medici», spiega la dirigente del gruppo San Donato nella sua lectio magistralis.
Disuguaglianze (di reddito e geografiche)
A pesare poi sono anche le disuguaglianze sociali. Secondo un’indagine di Cerved, 10 milioni di famiglie a basso reddito, prevalentemente nelle regioni del Sud, segnalano ritardi e difficoltà di accesso ai servizi pubblici. Ne consegue che sempre più cittadini sono costretti a rivolgersi alla sanità privata. O meglio, solo chi può permetterselo. «La condizione economica incide notevolmente sulla propensione ad utilizzare servizi sanitari a pagamento, ma è significativo che il fattore determinante ancora più del reddito, sia l’area geografica e che le prestazioni private siano scelte maggiormente nel sud e nelle isole», osserva Bottinelli. Al Sud, le famiglie che utilizzano le prestazioni private per le visite mediche sono il 63% contro il 48% al nord.
Il ruolo delle aziende e dello Stato
Per migliorare i servizi offerti dal sistema sanitario nazionale, Bottinelli suggerisce due soluzioni. La prima passa dalle imprese: «Il welfare aziendale può contribuire a razionalizzare la spesa privata aggregando le famiglie dei lavoratori, trasformando una parte della spesa individuale in collettiva», spiega la dirigente. La seconda strada passa invece da un aumento della spesa pubblica, che serva ad ammodernare il Ssn sia in termini di investimenti nelle strutture sanitarie sia per «costruire un nuovo modello di sanità». Incrementare la spesa pubblica, ricorda Bottinelli, «significa anche espandere l’occupazione». Ad oggi infatti il servizio sanitario è uno dei più importanti datori di lavoro in Italia, con 670mila addetti e oltre 57mila medici generici, titolari di guardie mediche e pediatri di libera scelta.
La sfida digitale
Accanto alle questioni sociali ed economiche restano però le sfide digitali. Un aiuto fondamentale in questo caso arriva dal Pnrr, che ha destinato alla «missione Salute» 15,6 miliardi di euro, pari all’8,16% del totale. Le direttrici di questi investimenti sono essenzialmente quattro: potenziare il Fascicolo sanitario elettronico, realizzare infrastrutture digitali, diffondere la telemedicina e formare adeguatamente cittadini e operatori sanitari. «La digitalizzazione pianificata nel Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza deve essere vista sia come uno strumento per integrare le prestazioni effettuate nei vari setting pubblici e privati, sia come la possibile soluzione per favorire la comunicazione tra medico e paziente», aggiunge Bottinelli. Accanto a tutto ciò, una sanità più digitale e al passo con i tempi permetterebbe anche di «ridurre il ricorso alle prestazioni in urgenza non necessarie e promuovere la prevenzione». E basterebbe questo, conclude la dirigente del Gruppo San Donato, «per ridurre del 50% la prevalenza di alcune malattie croniche e ritardarne l’insorgenza anche di 20 anni».
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