«A mia moglie ho spaccato la testa e rotto il setto nasale. Ora sono cambiato ma il patriarcato ce lo abbiamo dentro tutti»
Michele M., impiegato di Torino, ha due figli grandi ma non più una moglie. Lei lo ha denunciato ed ha divorziato. Perché litigavano di continuo. E durante gli screzi lui alzava le mani e la picchiava. «Se ripenso alle scene che hanno visto i miei figli da piccoli sto male davvero. Una sera le ho tirato uno zoccolo in faccia e le ho incrinato il setto nasale. Ancora mi chiedo come mai non ci fossimo lasciati prima», dice. Ha picchiato anche una sua compagna. Poi ha chiesto aiuto. È entrato nell’associazione “Il cerchio degli uomini”, che «mette in campo da più di vent’anni percorsi, servizi e iniziative per il cambiamento del maschile tramite il superamento del modello patriarcale maschilista». Dopo tre anni, dice, è cambiato: «Ho una compagna e il nostro rapporto è sereno».
La consapevolezza
Michele M. dice in un’intervista a la Repubblica di aver raggiunto soltanto dopo la consapevolezza di essere un violento: «Ogni volta che accadeva mi pentivo. Cercavo sempre una giustificazione». Poi racconta: «Nella mia vita ho picchiato due donne. La mia ex moglie e una mia compagna. Mia moglie ed io ci siamo sposati giovanissimi, due ragazzi, per dieci anni non abbiamo avuto figli. Il nostro è sempre stato un rapporto burrascoso, avevamo delle brutte litigate e finiva a botte. Letteralmente. Io picchiavo ma anche lei picchiava. Un calcio, uno schiaffo. Certo, lo ammetto, la forza fisica di un uomo non è paragonabile a quella di una donna. Ed era in me che scoppiava l’ira. Litigavamo ma poi facevamo la pace. Poco prima che nascessero i nostri due figli c’è stato l’episodio più grave». Lui era geloso e pensava che lei avesse una relazione con il suo capo.
La testata
Allora le ha dato una spinta contro il muro e l’ha colpita con una testata che le ha spaccato il sopracciglio: «Ricordo poi di essermi vergognato tantissimo. Sono corso da mio padre, ho promesso di non farlo più». Da bambino ha vissuto in una cultura «intrisa di maschilismo». Poi tra il 1997 e il 2000 sono arrivati due figli: «È stato allora che è precipitato tutto. Litigavamo di continuo, ero sempre più violento. Alzavo le mani. Picchiavo». Dopo il divorzio ha avuto altre due relazioni. «Con la mia seconda compagna, una donna forte, dominante, rispetto alla quale mi sentivo inferiore, la violenza è riesplosa. Una sera, tornati da una cena, volevo dormire, lei invece voleva parlare. Eravamo nel letto e lei, arrabbiata, mi aveva dato un colpo ad una gamba. Ricordo la mia rabbia feroce: mi sono buttato su di lei in un lampo, con tutta la forza che avevo e le ho messo una mano al collo. Mi sono fermato in tempo».
Il cerchio degli uomini
Poi un giorno ha visto il manifesto dell’associazione. «Diceva: “Ti accorgi di avere reazioni violente? Chiamaci”. In quei giorni ero al culmine della rabbia e della disperazione. Avevo mandato in frantumi la mia vita, i miei affetti. È stata come una folgorazione. Ho chiamato subito. Era il 2015. Ricordo che mi rispose uno dei fondatori, Domenico Matarozzo spiegandomi cosa fossero quegli incontri tra maschi. Mi sono sentito accolto subito». Nella stanza in cui si riunivano ognuno tirava fuori il suo lato violento. «Si lavora sulla nostra parte aggressiva, accogliendola per poi superarla, senza giustificazione, facendo emergere quel maschio che sa soltanto distruggere per affermarsi. Sono lunghi incontri in cui c’è una forte introspezione di sé, si seguono tecniche psicofisiche, ma la forza di tutto è l’essere uniti ad altri nel dolore del cambiamento».
Il patriarcato
Michele M. dice nel colloquio con Maria Novella De Luca che «il patriarcato ce lo abbiamo dentro tutti, sradicarlo è difficilissimo, fa male. Ma è questo è il lavoro che si fa nel “Cerchio” con psicologi, counselor, tra uomini come me che hanno cercato aiuto volontariamente, ma anche persone inviate dai tribunali perché autori di violenza». Oggi ha una nuova compagna e un rapporto sereno: «La rabbia si può dominare ma da soli non ce la possiamo fare, affidarsi ai servizi territoriali è determinante, purtroppo la famiglia in questi casi può fare poco. Penso alla tragedia di Giulia, ma penso anche ai genitori di Filippo, che ha ucciso. Famiglie distrutte. Drammi senza fine. Io posso solo dire ai maschi violenti: chiedete aiuto».
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