Torino, la prof che abolisce i voti: «Danno ansia e appiattiscono». Così le valutazioni diventano discorsive
Il voto numerico visto come «un generatore d’ansia», soltanto «apparenza, un vestito». Mentre ciò che conta è «la sostanza». Ernestina Morello, docente di geostoria al liceo scientifico Copernico-Luxembourg di Torino, ha deciso di avviare una sperimentazione con gli studenti della sua 1ª D. Un progetto che durerà per tutto l’anno scolastico e al quale hanno aderito anche i professori di scienze e inglese. Tutta la classe non riceverà voti in numeri, ma giudizi in parole, discorsivi: «Si chiama “valutazione formativa”», spiega in un’intervista a La Stampa. «I voti appiattiscono tutto, un 7 preso da uno studente con difficoltà alle spalle non vale quanto lo stesso voto di chi è in una situazione più privilegiata». Con una valutazione di tipo discorsivo, auspica l’insegnante, «posso evitare l’omologazione numerica e ho modo di valutare, invece, i processi cognitivi messi in atto. Mi sento più corretta».
La pagella
Dunque, come si presenterà, a fine anno, la pagella dei ragazzi della 1ª D? Avranno dei voti numerici? «Sì, perché alla fine tradurrò la valutazione formativa in numeri, secondo una tabella ben precisa». E portando ad esempio sempre il voto 7, Morello dice che corrisponde «alla capacità di riconoscere, rappresentare e leggere fatti e fenomeni geostorici». L’idea di abolire il voto in numeri da qui a giugno, tuttavia, deriva da quella che la docente definisce «una commercializzazione del voto, una corsa al 10». E aggiunge: «Sento spesso genitori chiedere ai figli perché abbiano preso “solo” 9. Ci sono ragazzi che piangono per un 7. Il problema è che le famiglie pensano che i voti siano segno della loro capacità genitoriale. Ma questo non fa altro che alimentare l’ansia degli studenti, che hanno paura di deludere queste aspettative. Ed è sbagliato, anche perché non tutti partono dallo stesso livello».
Scetticismo superato
Sono stati proprio i suoi allievi a incoraggiarla nel presentare il progetto in consiglio di classe. Superato lo scetticismo iniziale di qualche adulto, tutte le famiglie tranne una hanno accettato il percorso. «Penso sia una questione di abitudine, ma lo capisco. Io stessa non so se funzionerà, vedremo i risultati a fine anno. Se ha senso, andremo avanti. Ma è già diventata un’esperienza condivisa dai ragazzi che hanno deciso di rischiare con me». E conclude con ottimismo: «Non potrà andare male, perché non dobbiamo confondere il risultato con il processo. Gli studenti impareranno che ci sono sempre altre strade, altre possibilità».
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