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Campi Flegrei, l’allarme della Grandi rischi sul «magma risalito»: i segnali premonitori dell’esplosione potrebbero sfuggire al monitoraggio

25 Novembre 2023 - 08:58 Redazione
L'attuale deformazione del suolo potrebbe portare a una fratturazione della crosta, si legge nel verbale, con il «raggiungimento di condizioni critiche tra alcuni mesi o pochi anni»

La difficoltà di cogliere per tempo alcuni segnali anticipatori di un’eventuale eruzione freatica, le poca resistenza dell’argilla che tiene confinati i fluidi in pressione, gli attuali tassi di deformazione che potrebbero portare a fenomeni di significativa sismicità. È un verbale pregno di preoccupazioni quello elaborato dalla commissione Grandi rischi, che si è riunita gli scorsi 26 e 27 ottobre. E, scrive il Corriere, «a leggere per intero quelle pagine si capisce come mai, dopo la due giorni di incontri, il ministro della Protezione civile Nello Musumeci si allarmò al punto da parlare apertamente della possibilità di innalzare il livello di sorveglianza da giallo ad arancione e di autorizzare la pubblicazione di un comunicato, in cui era scritta la sibillina frase «coinvolgimento del magma» nel processo di bradisismo. Ora tutto è più chiaro». Il magma è l’elemento centrale dell’allerta che si è creata intorno ai Campi Flegrei. Tralasciando le rassicurazioni di facciata, i membri della commissione hanno dovuto constatare che il magma non solo è coinvolto nel bradisismo, ma che è risalita con ogni probabilità da un serbatoio di 7-8 chilometri di profondità a un altro posizionato a 4 chilometri. Gli esperti ritengono che questa progressione verso l’alto del magma sarebbe avvenuta a partire dal 2015 e fino al 2022.

Per i vulcanologi, dunque, il sollevamento del suolo nei Campi Flegrei ha due sorgenti di pressione, una idrotermale e una magmatica: perciò nel verbale viene segnalata «l’urgenza di estendere le analisi all’anno 2023, al fine di verificare un trasferimento magmatico dal sistema profondo verso quello superficiale». Tra le rilevazioni empiriche che segnalano questa emersione del magma, c’è stata un’analisi dei gas che fuoriescono dalle fumarole. È la crescita dell’idrogeno solforato a rivelare l’azione centrale del magma: «Dal 2021, il sistema idrotermale si sta evolvendo verso condizioni più magmatiche. Inoltre l’aumento di H2S – l’idrogeno solforato – a partire dal 2019 non è attribuibile a una origine puramente idrotermale, richiedendo un contributo aggiuntivo di zolfo che, dalle analisi isotopiche finora svolte, è consistente con una origine magmatica». A tutto ciò, si aggiunge il rischio di improvvise eruzioni freatiche. A contenere i fluidi in pressioni, tra i 100 e i 200 metri di profondità, ci sarebbe una struttura struttura geologica «argillosa e impermeabile» ritenuta di «media resisistività». Ovvero, una sorta di tappo di argilla troppo debole per escludere l’eventualità che si verifichi un’esplosione freatica. Sulle attuali capacità previsionali, c’è dello scetticismo nei vulcanologi: «Appare importante promuovere con urgenza una discussione critica su possibili segnali premonitori di tale attività e sulla capacità dell’attuale sistema di monitoraggio di rilevarli, evidenziando la necessità di eventuali implementazioni».

Il rischio di rottura delle rocce, sulle quali i fluidi magmatici esercitano pressione, non appare così distante: «In presenza degli attuali tassi di deformazione, il processo di fratturazione della crosta può subire una ulteriore accelerazione, fino al raggiungimento di condizioni critiche in un orizzonte temporale compreso tra alcuni mesi e pochi anni». Cosa accadrebbe al raggiungimento del punto critico? «Non si può escludere che si possano innescare processi quali sismicità significativa, eruzioni freatiche e risalita del magma verso la superficie». Nel verbale, dunque, non viene esclusa l’eventualità di una rapida progressione nel processo di risalita del magma in superficie attraverso corpi di lava longitudinali. Un fenomeno che, spiega il Corriere, «dovrebbe poter essere rilevabile dalle reti di monitoraggio geodetico, cioè una rete che sfruttando i dati ricevuti dai satelliti consente di misurare le deformazioni del suolo, con un margine di errore inferiore a 1 centimetro». Ma, aggiunge la commissione, laddove i segnali anticipatori di un’eruzione fossero lievi, la rete di monitoraggio potrebbe non essere in grado di captarli. Da qui il suggerimento all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di approfondire «in modo quantitativo» la capacità di cogliere l’eventuale risalita del magma soprattutto tra i 4 chilometri di profondità e la superficie». Ma anche l’esortazione conclusiva alle autorità di prepararsi «all’eventuale necessità di passare rapidamente verso un livello di allerta superiore».

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