L’impegno sociale, il fotovoltaico, i prodotti italiani: la sostenibilità secondo la Parma Food Valley
Secondo i dati diffusi dall’Ipcc, tra il 21 e 37% delle emissioni di gas serra globali sono generate dal sistema di produzione alimentare. Sfamare la popolazione mondiale significa dover coadiuvare l’uso delle risorse e la ricerca della qualità. Le filiere produttive del cibo che arriva sulle nostre tavole devono tutelarsi da frodi, sprechi, deforestazione, maltrattamenti come il caporalato. Tutte pratiche che minano la sostenibilità di quello che arriva sulle nostre tavole. Sostenibilità che alla luce delle disparità sociali del mondo in cui viviamo e della necessità sempre più impellente di ridurre l’impatto ambientale delle attività umane, sta assumendo un’importanza ogni giorno maggiore nel quotidiano di tutti noi consumatori alla ricerca di prodotti d’eccellenza per il palato, ma non solo. Solo nel territorio di Parma si contano oltre mille aziende che operano nel campo alimentare, dando lavoro a quasi 25 mila persone. Il fatturato del settore, nel quale è incluso l’ambito dell’impiantistica alimentare, supera i 10 miliardi di euro. Un giro d’affari fondamentale per l’economia italiana anche per quanto riguarda le esportazioni, che costituiscono, secondo i dati del 2022, il 36% dell’intero indotto.
Alla luce di ciò, abbiamo chiesto a chi queste eccellenze alimentari le produce – aziende, consorzi e protagonisti della Parma Food Valley – il loro approccio e il loro percorso verso la sostenibilità.
Filiera della pasta
Barilla spiega di aver introdotto negli ultimi anni princìpi di agricoltura rigenerativa nelle proprie filiere, in modo da ridurre l’impatto ambientale dei propri siti produttivi. A partire dalle emissioni di gas ad effetto serra che, nel 2021 sono diminuite del 31%, insieme ai consumi idrici per tonnellate di prodotto finito, ridotti del 18%. Inoltre, il 64% dell’energia elettrica acquistata dal Gruppo proviene da fonti rinnovabili certificati da Garanzia d’Origine, mentre il 91% dei rifiuti è avviato al riciclo e al recupero energetico. Hanno contribuito all’ottenimento di questi obiettivi la neutralità carbonica delle divisioni Gran Cereale e Mulino Bianco. Infine i pack, progettati per essere facilmente riciclati.
Filiera del pomodoro
Nel caso delle conserve di pomodoro le due aziende che rappresentano il territorio sono Mutti e Rodolfi Mansueto, entrambe di Parma e specializzate in salse, sughi, pelati, concentrati e altre conserve. Negli anni le due realtà hanno intrapreso diverse attività volte alla sostenibilità ambientale, tra cui il progetto sperimentale di produzione agricola Integrata a zero residui di pesticidi, il monitoraggio dei consumi idrici lungo la filiera e il riciclo dei rifiuti prodotti. Mutti afferma di aver recuperato nel 2022 il 92% di rifiuti sulla totalità, mentre Rodolfi circa il 90%. Molti degli stabilimenti inoltre sono da tempo alimentati ad energia fotovoltaica. Rodolfi rende noto che, in totale, il 13% del proprio fabbisogno annuo arriva da energia rinnovabile.
In aggiunta, la provenienza del pomodoro è 100% italiana e i requisiti del prodotto sono regolati da una Disciplinare di produzione, che definisce i requisiti e gli aspetti tecnico-agronomici che i produttori di pomodoro devono rispettare, oltre alla normativa vigente in materia di produzione integrata. Infine, Rodolfi ha intrapreso un percorso di riforestazione (biodiversità con piante autoctone) per la riduzione della CO2 con le aziende agricole che conferiscono pomodoro, mentre l’azienda Mutti ha previsto per il periodo 2022-2024 un investimento di 1,5 milioni di euro interamente dedicato all’avvio di progetti ambientali.
Filiera del latte
Parmalat porta avanti progetti a supporto del benessere e rispetto animale. Ad esempio, il 100% dei produttori di latte è conforme al sistema ClassyFarm, protocollo di valutazione basato su 105 parametri ritenuti basilari per una corretta conduzione dell’allevamento, tra cui lo spazio a disposizione di ciascun animale, l’accessibilità e il numero degli abbeveratoi, il livello di pulizia della stalla. Grazie alle numerose ricerche e dati sulla qualità del latte utilizzato (utilizzando il parametro delle cellule somatiche) Parmalat è anche riuscita a dimostrare la correlazione positiva tra il benessere dell’animale e la qualità del latte prodotto. Un animale sano produce, infatti, in media il 40% di latte in più. Inoltre da anni Parmalat lavora sulla riduzione dei consumi e in un’ottica di autosufficienza dei sistemi industriali. Il primo passo è stato la realizzazione, presso lo stabilimento produttivo di Collecchio (PR), degli impianti di cogenerazione e poi di quelli di trigenerazione.Con un solo atto di consumo si generano vapore, energia, freddo, sfruttando tutto quello che viene dalla produzione di energia e di calore.
Parmigiano Reggiano DOP
La filiera del Parmigiano Reggiano, spiega il consorzio, si caratterizza storicamente per bassi input: innanzitutto idrici, dato che il fulcro del suo sistema sono i foraggi freschi o affienati (prevalentemente erba medica e prati stabili che necessitano di poca acqua); in secondo luogo, chimici, considerato che gli erbai necessitano di minime quantità di concime e pesticidi, e che nella filiera del latte si utilizza meno dell’1% dei farmaci veterinari; infine energetici, poiché i campi vengono arati ogni 5 anni anziché ogni anno. Il Consorzio, inoltre, ha assunto lo specifico impegno di sostenere e sviluppare il Progetto “benessere animale”, mirato ad aumentare la qualità della vita delle bovine che contribuiscono alla produzione lattiero-casearia, premiando sia le aziende che hanno mostrato una particolare attenzione al benessere degli animali, sia quelle che, puntando a nuovi specifici investimenti, hanno ottenuto nel corso dell’anno miglioramenti misurabili.
Prosciutto di Parma DOP
Al fine di gestire responsabilmente il processo di produzione del Prosciutto di Parma e di utilizzare tecniche produttive con il minor impatto possibile sul territorio, da anni è stato avviato un percorso che vede il Consorzio impegnato nel miglioramento della sostenibilità ambientale della filiera. Alcuni esempi: all’inizio del 2024 giungerà a termine un importante progetto avviato nel 2022 in collaborazione con il Politecnico di Milano ed Enersem. La prima fase ha riguardato il calcolo certificato dell’impronta ambientale del comparto attraverso l’applicazione della metodologia PEF (Product Environmental Footprint): un numero statisticamente significativo di prosciuttifici è stato coinvolto per la raccolta dei dati necessari alla quantificazione dell’impronta ambientale, in base ai quali saranno individuate le soluzioni più efficaci per migliorare le performance ambientali. La fase di lavoro successiva ha previsto l’attivazione dello schema Made Green in Italy, il primo schema di certificazione nazionale sull’impronta ambientale di prodotto, promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che nasce per riconoscere su proposta volontaria delle stesse aziende i prodotti Made in Italy di alta qualità ambientale. L’ultima fase si sta concentrando sulla creazione di un software – che sarà accessibile a tutti i produttori – per il calcolo e la riduzione dell’impronta ambientale che consenta l’adozione di soluzioni e tecniche per ottimizzare le prestazioni dell’intero ciclo produttivo.
Filiera ittica
Pochi sanno che nella tradizione industriale della Parma Food Valley c’è anche la Filiera delle conserve di pesce. Sul territorio si concentra infatti la presenza delle più importanti aziende italiane del settore (Rizzoli Emanuelli, Zarotti e Delicius) che coprono il 70% della produzione e della commercializzazione delle Alici consumate nel nostro Paese. Negli anni le aziende hanno conseguito diverse certificazioni, come Friends Of the Sea e MSC, che garantiscono la tracciabilità e sostenibilità delle acciughe. Nello specifico, il marchio MSC assicura l’utilizzo di materia prima pescata con metodi sostenibili, senza danneggiare i fondali marini, e da stock ittici non sovrasfruttati. L’utilizzo di queste buone pratiche permette di mantenere elevati gli standard produttivi (garantiti in particolare da BRC ed IFS, certificazioni di sicurezza internazionali basate su di un metodo di valutazione condiviso per qualificare e selezionare i produttori alimentari) e, allo stesso tempo, di salvaguardare i mari dove avviene la pesca. La lavorazione delle Alici, inoltre, rappresenta inoltre un esempio virtuoso nel panorama delle relazioni internazionali e dei flussi migratori. Nel bacino del Mediterraneo infatti, la filiera ittica è costituita da lavorazioni integrate tra i paesi di origine di pesca, salatura e lavorazione e quelli di gestione e distribuzione, grazie agli investimenti nella formazione delle persone che lavorano e collaborano dall’estero con le aziende parmensi, sostenendo programmi di pesca certificata e consentendo loro di restare e vivere nei Paesi d’origine, senza dover intraprendere migrazioni e rischi alla ricerca di una vita e condizioni migliori.