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Diffondere (e difendere) il diritto alla prevenzione nelle comunità straniere – Il progetto Lilt «Salute senza frontiere»

Avviata da Lilt Milano Monza Brianza nel 2017, l'iniziativa prevede l'attivismo degli Ambasciatori della Salute: la testimonianza di Tahany Shahin

Diffondere il diritto alla salute e difendere la diversità. È questa la filosofia alla base del progetto «Salute senza frontiere» della Lega italiana per la lotta ai tumori (Lilt), che da oltre 70 anni è al servizio delle persone, del loro diritto a essere informate, aver accesso alle cure e vivere con dignità anche nella malattia. A qualsiasi livello sociale, economico e culturale appartengano e da qualsiasi Paese provengano. Un compito che per essere svolto in modo ancora più efficace ha iniziato a parlare di prevenzione e malattia in tutte le lingue. Esprimere dubbi e preoccupazioni a qualcuno che non comprende l’idioma o non conosce la cultura del luogo è difficile e spesso crea degli ostacoli apparentemente insormontabili. Ma non solo: la malattia non colpisce tutti nella stessa maniera. Ancora oggi le differenze di provenienza discriminano nella tutela della salute, spesso in molte comunità non ancora percepita come primaria. All’interno di questo contesto si inserisce Lilt e «il progetto – nato nel 2017 – di educazione alla salute alle comunità straniere del territorio attraverso la peer education (educazione tra pari)», spiega Cecilia Maccacaro, coordinatrice area fragilità sociale.

Come funziona?

L’iniziativa «Salute senza frontiere», rivolta alle diverse etnie presenti sul territorio di Milano e Monza Brianza, prevede la formazione e l’attivismo degli Ambasciatori della Salute che si fanno portavoce delle istanze di Lilt per quanto riguarda l’informazione e la sensibilizzazione in materia di prevenzione, coinvolgendo le persone in attività di educazione, di screening e diagnosi precoce. «Gli Ambasciatori della salute sono delle figure di intermediazione e spicco all’interno delle comunità di appartenenza con cui Lilt collabora – dice Maccacaro -. Non necessariamente hanno conoscenze pregresse nell’ambito della salute ma sono figure carismatiche, dotate di leadership all’interno del proprio ambiente». Tale approccio, che permette alla Lega italiana per la lotta ai tumori di entrare in maniera più autorevole nelle comunità, supera l’approccio del mediatore culturale. L’obiettivo è quello di rendere le persone protagoniste del cambiamento, «non figure passive a cui viene imposto dall’alto un programma di sensibilizzazione», afferma la coordinatrice.

A fare la differenza è l’approccio cosiddetto «sartoriale»: una modalità di lavoro personalizzata, realizzata su misura delle categorie target di ciascun percorso. La sua efficacia è stata validata in un processo di valutazione in collaborazione con Fondazione ISMU ed EngageMinds Hub. Altro pilastro del modello riguarda inoltre la realizzazione delle attività di sensibilizzazione in luoghi familiari per le comunità, dai centri di culto alle chiese cattoliche e ortodosse; delle moschee dai centri islamici alle associazioni migranti. «Siamo noi che andiamo e che portiamo il messaggio di salute», spiega Maccacaro. Fondamentale, inoltre, nel processo è il cosiddetto «effetto domino»: «cerchiamo – dice la coordinatrice area fragilità sociale – di far sì che le persone che sensibilizziamo a loro volta trasmettano poi ai familiari, amici, parenti ciò che hanno imparato. Poi – spiega – indispensabile è il lavoro con le istituzioni con gli enti e con le comunità del territorio». Da quest’anno Lilt ha avviato anche una Academy: «Il primo percorso di formazione per ambasciatori – conclude Maccacaro -. Abbiamo formato dodici persone, di 4 comunità diverse: romena, filippina, arabofona e latinoamericana con l’obiettivo creare promotori della salute ma anche figure in grado di intercettare i bisogni delle persone e di realizzare azioni autonome di sensibilizzazione all’interno della comunità». La prima edizione di SSF è stata finanziata da LILT Nazionale con il programma del 5 per mille; la seconda e la terza edizione e l’edizione Academy sono state realizzate grazie al parziale finanziamento dei Community Award Program 2019, 2021 e 2022, promossi da Gilead Science.

Gli Ambasciatori della Salute: la testimonianza di Tahany Shahin

Tahany Shahin (Titty) accompagna le donne ai controlli e si impegna a sensibilizzare gli immigrati sul tema della salute. Di origine egiziana, 56 anni, più della metà trascorsi in Italia, Titty è tra i 12 ambasciatori della salute della Lega italiana per la lotta ai tumori e da anni promuove «Donna Dovunque», il servizio che offre alle donne straniere, anche sprovviste di documenti, visite senologiche e ginecologiche, con pap test gratuiti. Vive a Monza ed è una figura di riferimento per la sua comunità ma anche per il mondo del volontariato della Brianza, dove è impegnata in diversi ambiti e progetti. «Ho conosciuto Lilt tanti anni fa. Avevo iniziato a frequentare il centro islamico di Sesto San Giovanni e lì ho iniziato ad accompagnare diverse donne della mia comunità per visite ed esami», racconta Titty che sottolinea, inoltre, come sia molto complesso far spostare le donne fuori dal proprio territorio. «Per questo motivo, ho insistito per fare venire gli operatori di Lilt a Monza» al fine di fare i controlli di prevenzione.

Alla domanda sul perché ha deciso di diventare Ambasciatrice, Titty non ha dubbi: «è un valore – spiega -. Ho sempre fatto volontariato, così ho iniziato ad aiutare le donne delle mia comunità: fissavo le date per le visite, le spingevo a fare i controlli perché non parlavano la lingua e mi occupavo di accompagnarle». Un lavoro stimolante, ma anche faticoso perché «devi trovare sempre le parole giuste, anche quando devi convincere queste donne a fare prevenzione. Ma sono felice quando posso prenotare una visita a una donna che ne ha bisogno e sono contenta di poterla aiutare, anche nel momento in cui è in attesa di una diagnosi, quando ha paura o deve affrontare un intervento». L’accesso ai servizi sanitari nei Paesi di origine delle donne della comunità di Titty è molto diverso da quello italiano. «In Egitto, ad esempio, ma anche negli altri Paesi, la sanità è privata e si va dal dottore solo quando si hanno sintomi. Le visite – continua – vengono fatte solo se stai male. Non c’è la cultura della prevenzione». La soddisfazione più grande, confida l’Ambasciatrice, è quella di «essere vicina a tutte le donne, sapere di poter dare una mano, aiutarle, anche solo per andare a fare una visita».

Protagonisti del cambiamento culturale

Tanti i risultati tangibili sul territorio, ma anche le sfide. «Una delle più grandi soddisfazioni è vedere che abbiamo portato un cambiamento culturale», racconta Maccacaro. «Un esempio? Durante la prima edizione del progetto e prima di partire con attività di sensibilizzazione – continua – abbiamo somministrato un questionario nel quale chiedevamo “Perché secondo te ci si ammala?” o “Quali sono le cause della malattia?” e tantissimi riportavano cause esterne come “il volere di Dio”. Ma al termine del nostro percorso di sensibilizzazione abbiamo riproposto lo stesso test con le medesime domande e abbiamo notato che erano diminuite drasticamente le risposte su ipotetiche cause esterne e a favore di motivazioni legate a stili di vita o mancata prevenzione». La parte più sfidante, al contrario, è quella di riuscire «sempre a dare una risposta culturalmente orientata, educare quindi alla salute con un linguaggio diverso a seconda della comunità di appartenenza perché ciascuna ha bisogni particolari, culture differenti, usanze da valorizzare ma anche magari aspetti da migliorare», conclude. Se il diritto a vivere in salute deve essere universale e riconosciuto (art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani), così deve accadere anche per l’accesso alla prevenzione che può salvare la vita.

Foto copertina: Gli Ambasciatori della Salute Lilt

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