Premierato, Gianni Letta boccia la riforma del governo: «Riduce fatalmente i poteri del presidente della Repubblica»
Forse Giorgia Meloni dovrà riscrivere la pagina de “Gli appunti di Giorgia” in cui ha messo in cima alla to do list del governo la riforma del premierato. L’ultimo colpo al testo, preparato da Elisabetta Casellati e approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri del 3 novembre, è arrivato da Gianni Letta. Non si tratta di un politico qualunque. Più che gli incarichi di governo ricoperti quando a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, all’eminenza grigia è riconosciuto il ruolo di collegamento tra il centrodestra e le istituzioni romane. E oggi, 30 novembre, ha lanciato la sua sentenza sulla riforma costituzionale di Meloni. A suo dire, ridurrebbe «fatalmente» i poteri del presidente della Repubblica, «perché la forza che ti deriva dalla investitura popolare è certamente maggiore di quella che deriva dal Parlamento: non sta scritto, ma è ovvio che poi nella dialettica chi è investito ha più forza».
L’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, durante il suo intervento a un evento dell’associazione Progetto Città di Firenze, ha aggiunto: «Secondo me la figura del presidente della Repubblica così com’è disegnata, e l’interpretazione così come è stata data dai singoli presidenti nel rispetto della Costituzione, come tutti i costituzionalisti oggi riconoscono, sta bene così: non l’attenuerei, non la ridisegnerei, non toglierei nessuna delle prerogative così come attualmente sono state esercitate». Per poi concludere con un riferimento a Sergio Mattarella: «oggi abbiamo un presidente felicemente regnante nel suo secondo mandato, che esercita il suo mandato in maniera splendida, perché ha fatto tanto bene a questo Paese». Le parole di Letta sembrano ricalcare le indiscrezioni trapelate dal Quirinale negli scorsi mesi.
Gli altri critici della riforma
Il segnale lanciato all’esecutivo era chiaro: non toccare ruolo, prerogative e funzioni del presidente della Repubblica. La riforma costituzionale così come è stata varata dal governo Meloni, invece, ridimensiona alcuni poteri del capo dello Stato. E prima di Letta, qualche giorni fa, una schiera di presidenti emeriti della Corte costituzionale si è opposta al disegno meloniano. «È un progetto di legge quasi eversivo per alcuni aspetti ed estremamente debole per altri», ha detto Ugo De Siervo. Per Marta Cartabia, «la presidenza della Repubblica, istituzione di coesione e garante dell’equilibrio costituzionale, viene incisa» introducendo tra le altre cose «degli elementi di rigidità che delimitano il perimetro di azione». Audita in commissione Affari costituzionali al Senato, ha sentenziato: «Credo che meriti una riflessione seria, perché la flessibilità degli interventi presidenziali forse potrebbe rendersi necessaria anche in futuro di fronte a situazioni impreviste e imprevedibili che sono frequenti nella storia di uno Stato». Stesso giudizio negativo di De Siervo e Cartabia, sempre durante l’audizione, è arrivato da Gustavo Zagrebelsky e Gaetano Silvestri.
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