Assedio al sud della Striscia, caccia ai leader di Hamas, poi una nuova Gaza. I piani di guerra di Israele dopo la tregua: «Ci vorrà un anno»
Non è ancora affatto chiaro se la finestra della tregua tra Israele e Hamas, rottasi all’alba di questa mattina con la ripresa dei combattimenti, sia da considerarsi definitivamente chiusa o se invece sarà riesumata. Non è un mistero che i mediatori internazionali, a partire dagli Usa di Joe Biden, spingano in quest’ultima direzione, per consentire la liberazione di altri ostaggi israeliani da Gaza e l’ingresso di aiuti umanitari per la popolazione palestinese. Ma che sia oggi o domani, appare certo che Israele riprenderà le operazioni militari nella Striscia laddove si erano interrotte una settimana fa, con l’entrata in vigore della pausa. Lo hanno detto a chiare lettere i volti più duri del governo – dal ministro della Difesa Yoav Gallant agli oltranzisti Betzalel Smotrich e Itamar Ben Gvir – e lo ha confermato oggi lo stesso Benjamin Netanyahu. «Continuiamo a combattere fino al raggiungimento dei nostri obiettivi: il recupero dei nostri ostaggi, la distruzione di Hamas e la garanzia che Gaza non rappresenterà mai più una minaccia per Israele», ha detto il premier. Ma come conta lo Stato ebraico di raggiungere questi obiettivi? E soprattutto, quanto tempo stima dovrà durare la guerra? Le risposte le hanno date fonti vicine all’establishment militare israeliano al Financial Times. «Sarà una guerra molto lunga, non siamo neppure a metà del lavoro», hanno detto le fonti al quotidiano britannico. Tradotto, la campagna per sradicare Hamas potrebbe durare un anno, forse anche di più. Sviluppandosi su più fasi.
Caccia ai leader di Hamas
La strategia militare per condurre l’operazione è necessariamente flessibile, hanno spiegato gli insider israeliani all’Ft. Impossibile non tener conto infatti dell’evoluzione di una serie di fattori: l’andamento delle operazioni sul terreno, certo, ma anche le successive finestre d’opportunità per liberare altri ostaggi, così come la “temperatura” delle pressioni internazionali. Ma a grandi linee il piano è chiaro. Nonappena ricevuto un chiaro via libera dai vertici politici, l’Idf riprenderà la sua operazione «ad alta intensità» nella Striscia. In primis proseguendo il tentativo di ripulire la parte nord da ogni traccia di Hamas (uomini e infrastrutture): «Gaza City non è stata ancora del tuto conquistata. Siamo probabile attorno al 40%», sostiene una fonte militare, secondo cui l’operazione nel nord richiederà ancora «tra due settimane e un mese». A seguire – o almeno in parte in parallelo – partirà l’operazione per assaltare con simili scopi la parte sud della Striscia. Nella zona di Khan Younis si ritene che Hamas abbia spostato nelle ultime settimane alcuni suoi asset strategici: ostaggi, armi, uomini, e con ogni probabilità anche i suoi capi militari, comprese le menti dell’assalto del 7 ottobre, Yahya Sinwar e Mohammed Deif. Per centrare una vittoria piena rispetto agli obiettivi definiti, infatti, Israele punta a scovarli ed eliminarli, insieme col vice di Deif, Marwan Issa. Il Wall Street Journal aggiunge che Israele si prepara nei prossimi mesi ad assassinare anche i principali leader di Hamas rifugiatisi all’estero, in operazioni mirate che potrebbero aver luogo dal Libano al Qatar sino alla Turchia.
I tempi dell’offensiva e gli scenari per il dopo
Se i desideri degli Usa saranno esauditi le operazioni nel sud della Striscia terranno in maggior conto la protezione dei civili dalle conseguenze di bombardamenti e assalti dei primi 50 giorni. «Faremo in modo che siano abbastanza zone sicure, li avvertiremo in anticipo (di bombardamenti, ndr) e favoriremo le evacuazioni», dicono ancora gli israeliani all’Ft. Ma s’annuncia inevitabilmente uno scontro durissimo per “ripulire” anche questa parte della Striscia. La guerra vera e propria così potrebbe durare alcuni altri mesi. Una volta che l’Idf considererà – se ci sarà riuscita – di aver preso il controllo della Striscia e duramente colpito Hamas, si entrerà quindi con ogni probabilità in una fase di operazioni militari a bassa intensità per consolidare i risultati ottenuti, fase che potrebbero durare per diversi altri mesi. «Transizione e stabilizzazione», la definisce un esperto. Transizione verso che cosa? Verso un nuovo ordine di governance per la Striscia di cui ancora, con tutte le buone intenzioni, non s’intravedono i contorni. Diversi player internazionali, Usa compresi, vorrebbero che nella gestione della “nuova” Gaza sia coinvolta l’Autorità nazionale palestinese. Che sconta però una legittimità scarsa presso gli stessi palestinesi, oltre che un leader anziano e screditato. E lo stesso governo israeliano al momento non ha la minima intenzione di considerare questo scenario. Quel che appare certo, invece, è che lo Stato ebraico vorrà per la futura Striscia – a prescindere da chi la amministrerà – la creazione di una zona cuscinetto tale da impedire che in futuro possa avvenire qualsiasi altro attacco al suo territorio come quello del 7 ottobre scorso. Esigenza che secondo quanto Reuters Israele avrebbe già comunicato esplicitamente a diversi partner arabi, tra cui Egitto, Giordania, Emirati Arabi e Arabia Saudita.