La verità di Paolo Maldini sull’addio al Milan: «Io cacciato per i cattivi rapporti in società, la decisione presa mesi prima»


La bandiera del Milan Paolo Maldini ha dato l’addio ai rossoneri ormai sei mesi fa. La proprietà, nella persona del presidente Gerry Cardinale, ha deciso il suo licenziamento e la sostituzione con un gruppo di lavoro. Mentre per lui fino a qualche tempo fa si vociferava di offerte dall’Arabia Saudita. Ora l’ex terzino di Sacchi e Capello decide di dire la sua versione sulla storia. Premettendo, nell’intervista rilasciata a Enrico Currò per la Repubblica, che l’amore per la società rimane incondizionato. Mentre «se il club è stato venduto per 1,2 miliardi e la nuova proprietà vuole cambiare, ne ha il diritto». Però respinge l’accusa di individualismo: «Si confonde con la volontà di essere responsabile delle decisioni previste dal ruolo. Il confronto quotidiano è una benedizione».
Il mercato
Maldini spiega che «un ex calciatore di alto livello è abituato al giudizio ogni 3 giorni. Come dirigente sono cresciuto, nei primi 6 mesi mi sentivo inutile. Leonardo mi diceva: stai solo imparando. Non è facile interloquire con un fondo americano o un Ceo sudafricano». Mentre smentisce che sul mercato lui e Frederic Massara non condividessero gli obiettivi: «Mai avuto, né voluto, potere di firma: nemmeno per i prestiti. Ogni acquisto era avallato da Ceo e proprietà. I giocatori li abbiamo scelti noi, a volte spariva il budget. È normale a volte l’interferenza nelle scelte sportive, che spostano equilibri finanziari. È ingiusta l’accusa di non averle condivise. Per Ibrahimovic servirono tante riunioni». Poi racconta cosa è successo il 5 giugno scorso: «Cardinale mi disse che io e Massara eravamo licenziati. Gli chiesi perché e lui mi parlò di cattivi rapporti con l’ad Furlani. Allora io gli dissi: ti ho mai chiamato per lamentarmi di lui? Mai».
Le assumptions e il ticketing
E continua: «Ci fu anche una sua battuta sulla semifinale persa con l’Inter, ma le motivazioni mi sembrarono un tantino deboli. Le cosiddette assumptions, gli obiettivi stagionali, erano: ipotizzando l’eliminazione dalla Champions, un turno passato in Europa League e la qualificazione alla Champions successiva. Quella semifinale ha portato almeno 70 milioni di introiti in più e l’indotto record di sponsor e ticketing. L’attivo di bilancio appena approvato è relativo all’esercizio 2022-23, con le assumptions abbondantemente centrate». Maldini dice che la decisione era stata presa mesi prima e che c’era chi lo sapeva. «Il contratto, 2 anni con opzione di rinnovo, mi era stato fatto il 30 giugno 2022 alle 22: troppo impopolare mandarci via dopo lo scudetto».
Vincere la Champions League
Secondo Maldini Cardinale ha chiesto alla dirigenza di vincere la Champions League: «Spiegai che serviva un piano triennale. Da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente: 35 pagine di strategia sostenibile e necessità del salto di qualità, mandate a Gerry, a due suoi collaboratori molto stretti e all’ad Furlani». Senza ricevere risposta. E ancora sul calciomercato: «Su 35 acquisti ci contestano De Ketelaere, che aveva 21 anni. Se si scelgono ragazzi di quell’età, la percentuale d’insuccesso è più alta. Vanno aspettati, aiutati, coccolati, ripresi. D’altronde, dopo tre mesi di lavoro, Boban e Massara ed io fummo chiamati a Londra da proprietà e Ceo e praticamente delegittimati: i vari Leao, Bennacer e Theo non piacevano. Ma serviva un percorso. Ricordo sempre da dove siamo partiti».
Il budget
Maldini aggiunge che ha saputo il budget per il calciomercato soltanto a giugno. «Prima del mio licenziamento Furlani me ne comunicò uno molto basso. Io ne presi atto. Dopo la nostra partenza il budget è raddoppiato. Al netto della cessione di Tonali. La vendita? «Avremmo fatto il possibile per non lasciarlo andare. Non siamo mai stati totalmente contrari a una cessione importante, ma non c’era necessità. Per Sandro spendemmo un quinto del valore di dominio pubblico e dovemmo discutere animatamente con Ceo e proprietà: non lo voleva neppure l’area scouting». Poi attacca il presidente Scaroni, che ha detto che dopo il suo addio il gruppo dirigenziale è più unito: «Lui non ha mai chiesto se serviva incoraggiamento a giocatori e gruppo di lavoro. L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo scudetto. Ho un concetto diverso di condivisione e di gruppo. Posso dire lo stesso anche rispetto ai due Ceo, Gazidis e Furlani».
Lo stadio e l’offerta dall’Arabia
Infine, Maldini dice che anche lo stadio è stato motivo di scontro: «Non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60 mila posti, quasi tutti corporate. Lottavo per uno stadio più grande e con parte dei posti popolari. Vista la media di oltre 70 mila a San Siro, avevo ragione». E sull’Arabia dice che le alternative al Milan per lui sono limitate, visto che non vuole andare a lavorare in un’altra società italiana: «A me piace vincere e costruire. L’Arabia potrebbe essere un’idea».