La denuncia dei medici specializzandi: «Si lavora anche 307 ore in un mese». E c’è chi rinuncia alla borsa
Di «patologico», denuncia Massimo Minerva, c’è «il rapporto tra specializzandi e mondo dell’Università». Il presidente dell’Associazione Liberi Specializzandi, in un colloquio con il Fatto, racconta: «I professori li tengono come servi, sono sovrani incontrastati. Per risparmiare sul personale strutturato, costringono gli specializzandi a orari assurdi: abbiamo registrato una timbratura da 307 ore mensili». All’account Facebook dell’associazione arrivano decine di appelli di medici che, durante il percorso di formazione, subiscono soprusi e vivono condizioni di lavoro insostenibili. Al punto da rinunciare, prima di concludere il ciclo, la scuola di specializzazione alla quale hanno avuto accesso tramite test. C’è chi lamenta di svolgere funzioni di segreteria anziché imparare la professione, chi dice di essere costretto a fare il portantino. Senza straordinari pagati, ci sono persino medici adulti che criticano gli specializzandi che si prendono una pausa pranzo o restano a casa per qualche giorno di malattia. Il burnout dei giovani in camice, testimoniano dall’assocazione, è dietro l’angolo.
Una specializzanda, sentita dal quotidiano, afferma di aver rinunciato alla borsa di studio, al secondo anno. «Non riusciva più a sopportare la tossicità della Scuola di Milano nella quale era entrata – non vuole fare il nome per paura di ritorsioni) – e ha deciso di affrontare nuovamente lo stress del test per ripartire da zero», scrive il giornalista Francesco Lo Torto. Adesso la ragazza è entrata in un’altra scuola di specializzazione, ma continua a lavorare per 12 o 13 ore al giorno. E dichiara: «Questa è la realtà per tutti all’interno del Sistema sanitario nazionale. Gli strutturati si trovano a fare quattro o cinque notti di fila, perché non c’è abbastanza personale. Il baronaggio non finisce neanche quando si inizia la professione, ci si resta invischiati anche dopo aver finito tutto il percorso di specializzazione». Spiega che non si tratta di una situazione straordinaria, ma del funzionamento che permette al sistema di restare in piedi. «Dove ero prima, i chirurghi in formazione che fanno il turno di notte non hanno diritto al riposo previsto prima e dopo una notte lavorativa. Si parla di 32 ore di lavoro consecutive. Avevo fatto il conto – aggiunge -, con la borsa di studio la mia paga oraria era di 3,80 euro. Siamo una forza lavoro gratuita, lo “schiavizzando”».
Della prima scuola di specializzazione, quella da cui è fuggita, ricorda il primo giorno: «Tornai a casa alle 23 e i miei colleghi specializzandi mi dissero che lì funzionava così. Che sennò mi facevano il culo e che altrimenti non sarei durata». L’ultima goccia che le ha fatto rinunciare alla borsa di studio riguarda una comunicazione arrivatale, «con un solo mese di preavviso, in cui mi veniva detto che mi sarei dovuta trasferire a oltre mille chilometri di distanza per prendere servizio in un altro ospedale della rete formativa della mia scuola. Feci presente che non era possibile per me, ma non cambiò nulla. Alla fine ho dovuto rinunciare alla borsa per non incorrere nella mancata presa di servizio». Un’altra interlocutrice del Fatto afferma che si è trovata, durante la specializzazione, a svolgere le mansioni di un medico strutturato, senza supervisione. «Firmare lettere di dimissioni con le credenziali dello strutturato è la prassi». Il presidente dell’associazione, Massimo Minerva, conclude amareggiato: «L’Università si chiude a riccio per difendere queste situazioni. È uno stato estero, ha leggi sue. Le tossicità si nascondono dietro i nomi altisonanti della Scuole. È una patologia diffusa, succede in tutta Italia. Per mettere fine a queste illegalità è fondamentale che gli specializzandi alzino la testa, che segnalino le irregolarità».