Ecco perché il Tribunale di Lucca ha negato il risarcimento a una cassiera vittima di rapina
In questi giorni viene ampiamente discussa la vicenda di Mario Roggero, il gioielliere condannato per l’omicidio dei ladri. In tema di rapine, circolano diversi post in cui viene contestata una sentenza emessa da un giudice del Tribunale di Lucca. La vicenda ruota attorno a una rapina, durante la quale il ladro ha apertamente sparato contro la cassiera di un locale. Il punto focale della controversia in Tribunale si concentra sulla richiesta di risarcimento danni avanzata dalla vittima, la quale si è vista negare tale diritto, secondo la narrazione diffusa e discussa intensamente sui social, a causa del suo presunto comportamento durante il furto: pare che il giudice abbia respinto la richiesta della cassiera poiché avrebbe ritenuto eccessivo il suo atteggiamento di difesa durante la rapina, in particolare il suo gridare contro l’aggressore. «Lo Stato italiano e le sue istituzioni tutelano i ladri e i malviventi, mentre le vittime diventano i carnefici» viene dichiarato nei post e in un video che racconta la vicenda priva del suo reale contesto.
Per chi ha fretta
- La sentenza viene raccontata in un articolo de La Verità del dicembre 2021 a firma Mario Giordano.
- Gli articoli dell’epoca puntano il dito contro il giudice e a favore della cassiera vittima della rapina.
- Il caso non riguardava una richiesta di risarcimento al rapinatore, ma al datore di lavoro.
- Il giudice, di fronte alle evidenze riscontrate, non ha concesso il risarcimento in quanto il comportamento della cassiera non aveva rispettato la procedura aziendale denominata “Gestione eventi criminosi”.
- Il giudice e la sentenza non stanno tutelando in alcun modo il rapinatore, non chiamato in causa.
Analisi
Ecco uno dei post (con oltre 34 mila condivisioni) dove viene proposto il video con la narrazione fuorviante (altri esempi qui, qui, qui e qui):
Il video risale al dicembre 2021, pubblicato dall’europarlamentare della Lega Alessandra Basso. Ecco la trascrizione:
«Vietato gridare durante una rapina». Sembra una barzelletta, ma è quello che ha sancito un giudice del Tribunale di Lucca. Un ladro entra in un supermercato di Pontremoli armato di fucile a cane mozze. La cassiera urla per lo spavento e il ladro le spara 200 pallini. La cassiera viene operata in ospedale e se la cava, anche se a distanza di anni ancora soffre le conseguenze di quei 200 pallini. Decide, giustamente, di richiedere un risarcimento, ma il giudice del Tribunale di Luca glielo nega. La motivazione ha del tragicomico: durante la rapina, infatti, la signora ha urlato troppo ed è stata eccessivamente aggressiva nei confronti del ladro. Alla cassiera, ora, non solo il danno di non ricevere il risarcimento, ma anche la beffa: le toccherà pagare quasi 6.000 € di spese legali. Lo Stato italiano e le sue istituzioni tutelano i ladri e i malviventi, mentre le vittime diventano i carnefici. In che modo possiamo dire di essere un paese che tuteli i suoi cittadini se gli si dice che durante una rapina devono stendere un tappeto rosso al ladro e aiutarlo a commettere il suo reato. Non resta che sperare per la povera cassiera che, nel caso decidesse di fare ricorso, trovi davanti a sé un giudice dotato di buon senso e che ribalti la decisione. In alternativa alla cassiera è stata data una grossa lezione: è meno pericolosa una rapina che finire davanti a un giudice del Tribunale di Lucca.
La fonte della “notizia”
Troviamo diversi articoli riguardo la vicenda. Uno di questi, pubblicato da Il Giornale il 9 dicembre 2021, titola «”Ha urlato troppo al ladro”. Negato il risarcimento». Viene citato il nome della cassiera, Ombretta Cordoni, permettendo di approfondire la storia privata del suo contesto.
Oltre al danno pure la beffa. Il tribunale di Lucca ha respinto la richiesta di rifusione per la vittima. Il motivo? Ombretta è stata “troppo aggressiva coi ladri, impossibile risarcirla”, è la spiegazione dei giudici lucchesi. Ma c’è dell’altro. La 61enne dovrà esborsare 5.800 euro di spese legali più “varie ed eventuali” senza aver intascato un solo centesimo di risarcimento. In buona sostanza, la donna non avrebbe dovuto reagire nonostante avesse puntato contro un fucile a canne mozze. O meglio, non avrebbe dovuto urlare ma invitare (magari) il malvivente a demordere – con fare educato e toni pacati, sia chiaro – attendendo pazientemente che completasse il lavoro. “Se non fosse la sentenza di un giudice, sarebbe una barzelletta”, scrive Giordano. Come dargli torto?
La fonte sarebbe un articolo de La Verità a firma di Mario Giordano, attuale conduttore del controverso programma TV “Fuori dal Coro”. Nello stesso periodo anche Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni condivisero la narrazione fornita:
Il contesto mancante
L’intera narrazione dello Stato italiano e le sue istituzioni che «tutelano i ladri e i malviventi» viene meno una volta compreso il contesto del processo in Tribunale. A fornirlo è il marito della donna, Aldo Costantini, a seguito della seguente dichiarazione riportata da La Nazione in un articolo del 7 dicembre 2021:
Sette anni fa (era il 29 maggio 2014) fu rapinata nel supermercato nel quale lavorava. Oggi la donna “ha ancora problemi di salute”, spiega il marito. “Avevamo chiesto i danni al datore di lavoro. Mia moglie, Ombretta Cordoni (residente a San Giuliano Terme, ndr ), è stata ricoverata e operata, fu impallinata dall’uomo entrato nel negozio armato di un fucile a canne mozze.
Secondo quanto dichiarato dal marito della donna, la richiesta di risarcimento non era stata presentata al ladro ma al datore di lavoro. Ad approfondire il caso è stato Ermes Antonucci su Il Foglio, in un articolo del 9 dicembre 2021:
La donna, vittima di una terribile aggressione, non ha fatto causa al rapinatore che ha fatto fuoco (peraltro mai catturato, e forse su questo ci sarebbe da indignarsi), bensì alla propria azienda. Aveva chiesto circa 250 mila euro di risarcimento alla società, sostenendo che questa non aveva posto in essere misure idonee a garantire la sicurezza dei suoi dipendenti. Insomma, tutta un’altra storia.
Il perché del «Vietato gridare durante una rapina»
C’è da comprendere da cosa derivi la critica «Vietato gridare durante una rapina». Lo spiega sempre Antonucci su Il Foglio:
La donna ha reagito al rapinatore prima cercando di chiudere il cassetto del registratore di cassa, poi inveendo e facendo cenno di scagliare qualcosa contro il malvivente, anche quando questo si era ormai accinto ad uscire.
[…]
Eppure, e qui arriviamo al cuore della storia, anch’essa ovviamente ignorata da Giordano, la società non solo aveva da tempo elaborato una procedura gestionale denominata “gestione eventi criminosi”, relativa ai comportamenti da tenere in caso di rapina, ma aveva da tempo anche attivato una polizza assicurativa contro i furti per effetto della quale le somme rubate venivano rimborsate dall’assicurazione, detratta la franchigia. Di questa assicurazione erano stati posti a conoscenza tutti i lavoratori, che quindi sapevano che in caso di furti la società non avrebbe sopportato come danno economico altro che la franchigia.
Cosa dice la sentenza
La copia della sentenza è consultabile online dal sito Safetysecuritymagazine.com in un articolo del 19 aprile 2022 dal titolo «Un esempio concreto sulla improrogabile necessità della valutazione dei rischi dolosi e criminosi». Ecco quanto riportato dal sito specializzato:
Se da una parte condanniamo fermamente l’atto criminoso e le conseguenze occorse alla dipendente, dall’altro vogliamo prendere in esame l’accaduto sotto il profilo squisitamente tecnico, quale Security Manager. La dipendente aveva esercitato un’azione legale contro il proprio datore di lavoro in quanto, a suo dire, non aveva messo in atto misure idonee a garantire la sicurezza dei dipendenti, chiedendo un risarcimento di euro 247.184,97
In realtà la società titolare del punto vendita aveva già all’epoca attivato una procedura denominata “analisi del rischio dei supermercati” pochi mesi prima dell’evento, e predisposto di conseguenza un documento inserito nella valutazione dei rischi. Successivamente ha predisposto una specifica procedura gestionale denominata “Gestione eventi criminosi” dove erano adottate precise modalità di comportamento da tenere in caso di eventi delittuosi, e nello specifico il comportamento da tenere in caso di rapina, fornendo copia e formando gli operatori.
La sentenza riporta esattamente questa situazione a pagina 7:
Dunque la società teneva sotto controllo i vari punti vendita di cui disponeva monitorando furti e rapine, e si era adoperata per garantire situazioni di sicurezza dei dipendenti sollevandoli da oneri di garantire il patrimonio aziendale rispetto a terzi malviventi, facendone partecipi i dipendenti affinché essi non si opponessero in caso di furti, evitando quindi di mettere a rischio la propria incolumità personale per proteggere il patrimonio aziendale.
Conclusioni
Di fatto, la sentenza non aveva nulla a che fare con il rapinatore. Alla cassiera era stato negato il risarcimento da parte del datore di lavoro in quanto la stessa non aveva seguito le indicazioni aziendali su come comportarsi in caso di eventi criminosi. In nessun caso il giudice e la sentenza hanno “tutelato” il rapinatore.
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