Cosa c’è nell’inchiesta sul periodo in Russia del generale Vannacci
Non arretra, il generale Roberto Vannacci. Recentemente nominato capo di stato maggiore delle forze operative terrestri e subito in licenza per 20 giorni, prosegue il suo tour letterario per la presentazione del libro Il Mondo al contrario (anche se in teoria durante la licenza gli era stato vietato di presentarlo ancora) mentre arrivano dettagli via via più chiari sulle indagini disciplinari che lo riguardano. Più che quella dedicata alla gestazione e pubblicazione del libro senza le necessarie autorizzazioni, a preoccuparlo – scrive su La Stampa di oggi Jacopo Iacoboni – potrebbe essere, però, la parte che si concentra sui rapporti con la Russia mentre era addetto militare dell’ambasciata. «Macché filorusso, io sono stato cacciato da Putin e da Lavrov», si è sempre difeso lui anche se la decisione di allontanarlo è stata presa, come Mosca ha confermato, per attuare una ritorsione dopo la reazione italiana al caso Walter Biot (il militare italiano condannato per aver venduto informazioni privilegiate ai servizi russi): dopo l’allontanamento dell’omologo di Vannacci a Roma, Aleksey Nemudrov, Mosca dovette reagire.
Gli elementi di indagine
Ma quali sarebbero gli elementi raccolti contro il generale? Secondo quanto racconta La Stampa, che cita «fonti di altro livello politico e militare a conoscenza del dossier Vannacci» i problemi – bisogna capire se disciplinarmente o penalmente rilevanti – partirebbero dai suoi rapporti con «alcuni consessi e think tank russi» considerati “borderline”, tra quelli che frequentava a Mosca. Arrivato all’ombra del Cremlino già a Natale 2020 (l’incarico ufficialmente partiva a febbraio 2021), Vannacci sarebbe riuscito a stabilire con sorprendente rapidità ottimi contatti con i militari russi. Quando l’esercito russo a settembre tiene una massiccia esercitazione, che preoccupa le intelligence anglosassoni (e secondo alcuni sarà poi decisiva per preparare l’invasione dell’Ucraina) i resoconti di Vannacci sono molto rassicuranti. Oggi si fanno notare anche i buoni rapporti con gli italiani che mostrano migliori relazioni con Mosca in quel periodo, dall’ambasciatore Pasquale Terracciano, poi criticato perché considerato troppo morbido col Cremlino, all’ex ambasciatore Cesare Ragaglini, che dopo la fine del suo mandato è stato vicepresidente della banca di Stato russa Vtb, a sua volta legata al comparto militare. Nell’ambito militare si notano le sue strette relazioni con il tenente colonnello incursionista Fabio Filomeni autore di un libro intitolato “Morire per la Nato?” e infine, si sottolineano le lodi per Mosca contenute nel libro Il Mondo al contrario. Un insieme di fattori apparentemente casuali ma che messi insieme, nell’ambito di indagini ancora in corso, potrebbero finire per pesare sull’esito finale dell’inchiesta.