Badanti e colf i grandi esclusi dalle proposte sul salario minimo (e non solo): «Senza diritti e trattati come limoni da spremere e poi gettare» – L’intervista
Licenziabili da un giorno all’altro, spesso malpagate e senza contratto, e con nessuno che di fatto controlli i loro datori di lavoro. Sono tutte le persone che svolgono il lavoro di badante e colf, rimaste bistrattate anche nella recente proposta di legge sul salario minimo, affossata alla Camera in un clima politico di alta tensione. Il testo presentato dai partiti di opposizione prevede, infatti, di istituire un minimo salariale legale per tutti pari a 9 euro. Esclusi – esplicitamente – i lavoratori domestici, la cui fissazione di un minimo viene rinviata a un Decreto Ministeriale. Sono diverse le ragioni che si celano dietro questa scelta, a partire dal potenziale aumento vertiginoso dei costi per le famiglie, che provocherebbe di conseguenza una crescita esponenziale del lavoro in nero, già problematico per il settore domestico. «E così, badanti e colf vengono sempre lasciati indietro. Ma la dicitura di esclusione nella proposta sul salario minimo ha a monte una serie di problemi ben più ampi. E tutto parte dalla nostra Costituzione». A dirlo e a spiegarne le ragioni a Open è Marco Peverada, Segretario Nazionale dell’Associazione Sindacale Panca del Mutuo soccorso, a tutela di badanti, colf, e affini.
Il discrimine già nella Costituzione
«Dato il trattamento politico discriminatorio a cui sono da sempre abituati, i lavoratori domestici – di cui la gran parte sono donne -, dovremmo chiamarli “i diversamente inclusi”», premette Peverada che per decenni ha fatto il sindacalista, prima dentro la Cisl dal 1989 al 2015, e poi dentro la Panca del Mutuo soccorso, da lui fondata. «Schiavi, serve. Lavoratori e lavoratrici domestiche sono dipendenti di terza classe, spesso usati come limoni da spremere e poi gettare». Così il sindacalista sintetizza le condizioni in cui versano badanti e colf, evidenziando come nelle leggi e nei decreti vengono sì, sempre inclusi, ma con la formula al negativo: «Escluso il lavoro domestico». Peverada racconta come queste categorie di dipendenti non godano degli stessi diritti degli altri lavoratori. «Se da un lato, l’articolo 3 della Costituzione si assume il compito di rimuovere gli ostacoli di ogni ordine economico e sociale che […] impediscono il pieno sviluppo della persona umana, l’articolo 14 stabilisce che il domicilio è inviolabile. E questo nei fatti da sempre limita la possibilità degli ispettori del lavoro di entrare nelle case degli italiani e verificare le condizioni in cui versano le badanti».
La minaccia incombente di essere licenziati
Ma non solo. Sono numerosi i diritti che sono solo apparentemente tutelati a badanti e colf. «Su di loro – spiega Peverada – pende quotidianamente la minaccia di essere licenziati. Il loro datore, ovvero la famiglia dell’assistito, può recedere il contratto ad nutum. Pertanto, senza giusta causa, ma solo con il preavviso previsto dalla legge. Inoltre, non deve neanche rispettare la forma scritta». Condizioni che non permettono al dipendente di contestare nulla sul suo licenziamento e che fa da deterrente, per il datore di lavoro, al rispetto delle norme contrattuali. «C’è sempre il rischio – commenta – che con un cenno gli venga indicata la porta per andarsene».
Il carico sulle famiglie
Quanto ai salari, Peverada ritiene che la retribuzione minima debba coinvolgere anche il settore domestico. Ma con una serie di interventi statali che mitighino ricadute negative e non lascino tutto il carico economico alle famiglie. «Se, invece, si applica il salario minimo a 9 euro senza considerare questi aspetti, allo stato attuale dei fatti, in pochissimi applicherebbero il contratto. La domanda che noi poniamo è: perché fanno ancora fare i contratti alle famiglie? Coloro che necessitano di un aiuto economico, dovrebbero fare affidamento su badanti che rispondono a un contratto del Comune e del servizio sanitario». Ma il sindacalista riconosce che si tratta di proposte che la politica, di ogni fazione, fatica ad accogliere. «Se questi lavoratori e lavoratrici, la maggior parte sono stranieri, potessero avere diritto di voto, allora sì che farebbero gola. Al momento, includerle nel salario minimo o fare luce su questi aspetti, crea solo problemi alle famiglie degli italiani, e politicamente non conviene. Tutto questo fa comodo, altrimenti le soluzioni le avrebbero già trovate», commenta Peverada. «Ecco perché – chiosa – il vero problema di tutto questo è che c’è un grande assente: lo Stato».
Chi controlla?
Le condizioni di lavoro in cui versano badanti e colf sono quindi lasciate alla buona coscienza del datore di lavoro. «L’ambiente in cui lavorano queste persone da contratto non può essere nocivo, ma se così non è, chi controlla? Se mandi una segnalazione agli ispettori, al massimo chiamano il datore di lavoro. Ma in casa non ci possono entrare», spiega Peverada. «La formazione di questi lavoratori è, inoltre, un’optional. Hanno a che fare con persone fragili e a rischio, eppure non vengono quasi mai formati. Anzi, il più delle volte, le famiglie assumono appositamente persone di origine straniera, senza particolare qualifica e che faticano anche solo a parlare italiano. Per di più in nero», aggiunge. «Queste donne e questi uomini assistono ogni giorno i nostri cari, che spesso ci dimentichiamo o, date le loro condizioni, talvolta accusiamo come un peso da delegare. Eppure – conclude il sindacalista – lavorano in condizioni spesso pietose, senza tutele effettive e dignitose, e con una politica volutamente cieca alle loro istanze».
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