Ospedale di Tivoli, il racconto dell’anestesista in rianimazione: «Nel buio con i teli bagnati sulle porte per non far entrare altro fumo»
«Sono stati momenti atroci. I sei pazienti della rianimazione erano tutti intubati, tranne una donna
giovane che abbiamo cercato di rassicurare. Ma non sapevamo nulla di ciò che stava accadendo, era buio pesto, i telefoni non funzionavano, con i cellulari abbiamo chiesto che ci venissero a salvare». A parlare a Repubblica è Maria Grazia Angelucci, anestesista. Era di turno di notte nelle ore del rogo dell’ospedale di San Giovanni Evangelista, a Tivoli. Quello che racconta sono attimi drammatici. «Abbiamo sentito un odore acre di bruciato. Non sapevamo da dove venisse. Abbiamo aperto la porta della Rianimazione e ci siamo trovati dentro una nube di fumo denso, impenetrabile. Ci siamo barricati dentro, abbiamo sigillato le porte con lenzuola bagnate, asciugamani, cerotti, con tutto quello che trovavamo, per impedire ad altro fumo di entrare e salvare i nostri pazienti», spiega. Quando sono arrivati i soccorsi non si vedeva ancora nulla. «Come fosse la notte più nera. Per terra il fumo – racconta Angelucci – aveva creato una coltre quasi liquida. Ho avuto subito un laringospasmo, gli occhi che bruciavano, dolore al petto. Tanto che siamo tutti tornati indietro, cercando un’altra via di fuga. I miei infermieri sono stati straordinari, salvare pazienti attaccati a macchinari salvavita è qualcosa di eroico». «È stata l’alba più terribile della mia vita. Sono andata a casa, ho fatto una doccia per togliermi il nero che avevo sui capelli, sulle mani, poi sono tornata qui. In questo ospedale c’è un pezzo della mia esistenza, vederlo bruciare è un dolore che non dimenticherò», conclude.
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