Israele replica a Usa e Onu: «La guerra a Gaza continuerà con o senza sostegno internazionale». E Hamas triplica i consensi in Cisgiordania
La guerra a Gaza volta ad estirpare Hamas dopo le stragi del 7 ottobre «continuerà con o senza il sostegno internazionale». Lo ha detto oggi il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, rispondendo duramente alle critiche mosse ieri dal Joe Biden all’indirizzo del governo di Gerusalemme. «Israele sta perdendo sostegno internazionale a causa dei suoi bombardamenti indiscriminati, Netanyahu deve cambiare strada», aveva avvertito ieri esplicitamente il presidente americano, nel giorno in cui l’Assemblea Generale Onu approvava a maggioranza schiacciante una risoluzione per chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario nella Striscia. Sarebbe «un regalo all’organizzazione terroristica Hamas, che le consentirebbe di ritornare e minacciare i residenti di Israele», ha replicato a muso duro Cohen. Ma i nodi nella relazione tormentata tra governo-Netanyahu e amministrazione Biden si apprestano a venire al pettine. Domani infatti sarà a Tel Aviv il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan per «consultazioni sulle prossime fasi della guerra». Gli Stati Uniti non intendono porre condizioni o linee rosse rispetto all’impiego degli aiuti militari inviati a Israele, ha chiarito nelle scorse ore la Casa Bianca. Ma sull’evoluzione della guerra e sulle prospettive per il dopo, il dialogo s’annuncia teso.
Numeri di una tragedia
La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza resta disperata. Stretti tra bombe, incursioni e macerie, i civili intrappolati soprattutto al Sud patiscono freddo, fame e malattie. Secondo il ministero dalla Sanità, gestito da Hamas, dall’inizio della guerra le vittime sono 18.608, i feriti oltre 50mila. L’Onu nei giorni scorsi ha paragonato la situazione all’«inferno sulla terra», rinnovando l’appello urgente a un cessate il fuoco. L’Amministrazione Usa sposa formalmente a parole la linea di Israele – ossia che questo equivarrebbe a dar modo a Hamas di riorganizzarsi – ma è sempre più preoccupata per la perdita di sostegno internazionale da parte dello Stato ebraico. Mentre Hamas, pur indebolita da attacchi e uccisioni mirate, pare godere di ottima salute politica. La fotografia più lucida arriva dall’ultimo sondaggio condotto tra dal Palestinian Center for Policy and Survey Research. Secondo la rilevazione (condotta nei giorni della tregua tra Israele e Hamas) quasi il 90% dei palestinesi vuole le dimissioni del vecchio Abu Mazen, quasi il 60 addirittura la dissoluzione della sua Anp. A guadagnare consensi è invece Hamas: non tanto nella Striscia di Gaza (dove crescono comunque dal 38 di prima del 7 ottobre all’attuale 42%), quanto soprattutto nella Cisgiordania governata proprio dall’Anp. Qui il 44% ora dice di sostenere Hamas: a settembre erano appena il 12%. Impressionanti, nella stessa direzione, le valutazioni raccolte sull’attacco del 7 ottobre: Hamas avrebbe fatto bene a lanciarlo per il 57% dei palestinesi di Gaza, dell’82% di quelli della Cisgiordania. La stragrande maggioranza dice di non aver visto alcun video o altra prova delle atrocità commesse dai terroristi nel «sabato nero» d’Israele, e appena il 10% pensa che Hamas abbia dunque compiuto crimini di guerra. L’unico personaggio politico in grado di rivaleggiare coi leader di Hamas in caso di futuribili elezioni a Gaza o in Cisgiordania, sottolinea il responsabile del sondaggio Khalil Shikaki, sarebbe Marwan Barghouti, l’esponente di Al Fatah rinchiuso in carcere in Israele dove sta scontando una condanna a cinque ergastoli per aver ispirato una lunga serie di attentati. Numeri di una pace mai così lontana.
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