Roma, a processo per omicidio un 43enne: «Lasciò morire la ex». Le botte, la doccia gelata con la polmonite, l’overdose
L’avrebbe lasciata «in uno stato di incoscienza e agonia per più giorni fino al decesso». È quello che si legge nel capo d’imputazione nei confronti di un 43enne romano a processo davanti alla Corte d’Assise di piazzale Clodio per omicidio della ex compagna, che all’epoca aveva una figlia di 11 anni. Secondo l’accusa l’uomo l’avrebbe stordita e riempita di stupefacenti, aggravando le sue già fragili condizioni di salute e lasciandola morire invece di chiamare i soccorsi. Ma la storia di abusi, vessazioni, maltrattamenti, andava avanti già da tempo. Almeno stando al racconto del padre della vittima. «Mi rimprovero di non essere intervenuto. Magari sarei potuto andare da lui e impormi con la forza per riportare a casa mia figlia», ha detto ai giudici avvolto dal dolore, «ma non è nella mia natura, non sono una persona aggressiva e adesso lei è morta». La famiglia di lei era preoccupata da tempo. La 40enne aveva conosciuto l’uomo a una festa nel dicembre del 2019. I due condividevano la passione per la musica techno. Ma lui nascondeva anche quella per le droghe e le sostanze psicotrope. Nel marzo 2020 inizia una tribolata relazione, vanno a convivere ma dopo qualche mese la 40enne torna a casa sua. «Era disperata e molto spaventata», ricorda il padre, «ci ha raccontato di aver preso lsd e funghi allucinogeni insieme all’imputato. Ci diceva di aver visto la morte in faccia e di essere sotto ricatto di quell’uomo che le aveva anche sequestrato il cellulare e il bancomat». Poi la convivenza con l’uomo è ricominciata, e anche le violenze. La donna avrebbe inviato una foto con un occhio nero a gennaio 2021, un’altra con il volto tumefatto un mese dopo.
Le botte e il droga party
Dopo la nuova convivenza, si isola dalla famiglia, mantiene rapporti solo con il padre. Fino a pochissimi giorni prima della morte. Il 18 gennaio 2022 l’uomo organizza una festa per il compleanno della compagna. Un droga party, così lo definisce Il Messaggero occupandosi del caso. E nel capo d’imputazione, la spirale di maltrattamenti che l’ha portata alla morte. Invece di chiamare i soccorsi, il 43enne si limita «a buttarla a testa in giù dentro il vano della doccia, spogliandola e mettendo in lavatrice i suoi vestiti, facendole poi assumere cocaina e sostanze psicotrope». Fino a che la donna non muore, senza cure, per una broncopolmonite massiva laterale. «Mia figlia non era una tossicodipendente», ha raccontato ancora in Aula il padre della vittima, amava la sua bambina, che all’epoca aveva solo 11 anni, ma da quando si sono conosciuti la situazione è degenerata».