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Ferragni è stata davvero chiara su Balocco? Ecco come evitare che la pubblicità degli influencer diventi ingannevole

I content creator, per il grande seguito che hanno e per il valore economico collegato al loro mondo, devono prestare maggior attenzione alla comunicazione

Grande eco mediatica hanno avuto le affermazioni di ieri della premier Giorgia Meloni nel discorso di chiusura della Festa di Fratelli d’Italia ad Atreju sugli influencer «cattivi maestri», di cui si è occupata anche Open. Secondo la nostra Presidente del Consiglio, «il vero modello da seguire non sono gli influencer che fanno soldi a palate indossando degli abiti o mostrando delle borse o addirittura promuovendo carissimi panettoni con i quali si fa credere che si farà beneficenza ma il cui prezzo serve solo a pagare cachet milionari». Il riferimento era evidentemente alla recente vicenda della pubblicità dei panettoni Balocco di Chiara Ferragni, di cui diremo fra un attimo. 

Prima di trattare della questione specifica panettone Balocco-Chiara Ferragni, vale la pena spendere due parole sul mondo degli influencer. Con buona pace della retorica «gli-influencer-fanno-la-bella-vita-ma-mica-lo-mandano-avanti-questo-Paese», il giro di affari che ruota attorno al mondo degli influencer oggi in Italia ammonta a 400 milioni di euro e il volume complessivo della filiera, che coinvolge circa 3 milioni di italiani, supera il miliardo di euro. Il settore, quindi, continua a crescere, si struttura, matura, diventando sempre più sofisticato.  

Ed è, si badi, un giro d’affari che è legato alla creazione di contenuti che vanno costruiti giorno dopo giorno, perché i follower sui diversi social media più sono più si aspettano quotidianamente di ricevere qualcosa di nuovo. Si pensi che fra i film italiani più visti al cinema fra il 2020 e il 2023 ci sono quelli di due influencer (I Me contro Te), e fra i contenuti tecnici più cliccati ci sono quelli di Salvatore Aranzulla, che ha un blog con milioni di follower. Si consideri inoltre che ai primi tre posti fra gli italiani viventi più conosciuti all’estero ci sono 3 influencer, peraltro diversissimi fra loro (Khabi Lame, Chiara Ferragni e Gianluca Vacchi). 

Insomma, che ci piaccia o no, stiamo parlando dell’eccellenza italiana dei nostri tempi. D’altra parte, è curioso che l’intemerata lotta contro gli influencer venga dalla politica che da ultimo – a sinistra come a destra – ha utilizzato (talvolta bene, molte altre volte meno) i social media per costruire un rapporto diretto con gli elettori, tanto che ci sono trasmissioni televisive come Propaganda Live che sono sostanzialmente costruite sull’uso dei social network da parte dei politici.   

Ma, come diceva zio Ben nell’Uomo Ragno, «da un grande potere derivano grandi responsabilità». Assume dunque grandissima importanza, proprio per il grande seguito che gli influencer hanno e per il valore economico che ad esso è collegato, la loro comunicazione commerciale, soprattutto se si considera che una buona parte dei consumatori è più attenta e sensibile ai tipi di comunicazione utilizzata, alla qualità dei prodotti, all’etica del brand scelto e alla credibilità del rapporto tra influencer e brand.

Marketing e beneficenza

Anche per questa ragione, negli ultimi anni hanno assunto grande rilevanza gli slogan valoriali, i green claims, cioè i claim che fanno leva sulla sostenibilità ambientale, e il Cause Related Marketing (CRM), ossia quell’insieme di attività di marketing e comunicazione focalizzate su una causa di rilevanza sociale. Ad una maggiore attrattiva per i consumatori corrisponde, come sempre in questi casi, il rischio per i brand di voler cavalcare l’onda, senza verificare attentamente il contenuto del messaggio.

Il caso del Pandoro Pink Christmas di Balocco brandizzato Chiara Ferragni dello scorso anno e delle salatissime sanzioni imposte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) – rispettivamente più di un milione di euro alle società dell’influencer e 420 mila euro a Balocco – oltre ad aver avuto, come dicevamo, un’enorme eco mediatica proprio in virtù della notorietà del personaggio coinvolto e dell’esemplarità della sanzione, mostra bene i rischi che possono derivare da una comunicazione commerciale imprecisa quando le omissioni e i non detti toccano le finalità sociali connesse alla campagna, come donazioni ad enti benefici, organizzazioni no profit e ospedali.

Con tutta probabilità, la popolarità di Chiara Ferragni e delle sue aziende non risentirà a lungo di questa vicenda, che anzi in termini di immagine potrebbe anche avere effetti positivi, visto che l’influencer ha oggi pubblicato un video in cui ammette l’errore e si impegna a donare un milione di euro all’ospedale Regina Margherita di Torino. Al contrario, la decisione dell’AGCM rappresenterà da ora in poi un forte precedente per vicende simili, sia in termini di «soglia di ingannevolezza» sia in termini di quantificazione monetaria della sanzione. A questo proposito, oltre alle modalità di diffusione del messaggio, alla dimensione economica dei soggetti coinvolti e al profitto ottenuto dalla campagna, l’AGCM ha attribuito grande rilevanza alla differenza tra il prezzo medio di vendita al pubblico dei pandori Chiara Ferragni (euro 9,37) e quello del pandoro Balocco tradizionale (euro 3,68), così suggerendo che i consumatori sarebbero stati disposti a pagare un prezzo di gran lunga più alto del normale soprattutto per la finalità benefica pubblicizzata.

Quali regole seguire?

Per evitare sanzioni, quindi, cosa devono fare (e soprattutto non fare) le aziende che vogliano utilizzare il Cause Related Marketing? Nel nostro ordinamento, la regola aurea è che la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta. In altri termini, il consumatore deve capire chiaramente di essere di fronte a una pubblicità e di esserne il destinatario. Ciò significa che le società devono prestare particolare attenzione a tutte le forme di comunicazione commerciale, esplicitandone quanto più possibile la finalità, soprattutto in contesti particolarmente delicati come quello del CRM.

La pubblicità deve poi corrispondere al vero ed essere corretta, il che impone di fornire al consumatore informazioni attendibili e sufficienti per prendere una decisione di acquisto informata e consapevole. Tra le altre, è fondamentale comunicare chiaramente il prezzo del prodotto o del servizio, la finalità sociale connessa alla vendita dello stesso, la percentuale del prezzo devoluta in beneficenza, il modo in cui l’acquisto del prodotto o servizio contribuisce a tale finalità (ad esempio, tramite percentuale o donazione a quota fissa o, ancora, attraverso un impegno dell’impresa, come nel caso in cui ad ogni acquisto venga piantato un albero o adottato un animale, e così via). Oltre alla necessità di fornire informazioni chiare e veritiere, tale obbligo si concretizza anche nel divieto di omissioni ingannevoli, che potrebbero interferire con la scelta di acquisto del consumatore. Anche utilizzare frasi generiche e fuorvianti, infatti, pur senza dichiarare espressamente il falso, rientra nell’alveo delle pratiche commerciali scorrette (e quindi sanzionabili) ai sensi del Codice del Consumo.

Inoltre, condotte in violazione delle norme quali quelle appena menzionate potrebbero avere il duplice effetto di ingannare i consumatori a monte, influenzandone le scelte di consumo, e di alterare il mercato a valle, integrando altresì atti di concorrenza sleale che potrebbero essere contestati dai concorrenti. Il tutto con il rischio di incorrere al contempo in sanzioni amministrative pecuniarie e in azioni giudiziali con richiesta di inibitoria (con conseguente perdita degli eventuali investimenti nella campagna) e risarcimento del danno.

Pertanto, al fine di tutelare al meglio i propri investimenti e, soprattutto, l’inestimabile valore che ha l’immagine e la reputazione del brand, le aziende devono evitare scelte di comunicazione leggere e naïve, soprattutto quando la finalità commerciale e quella sociale di una campagna sono legate a doppio filo.

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