Una condanna e un’assoluzione per la morte del soldato Francesco Positano: schiacciato da un mezzo blindato in Afghanistan nel 2010
Una condanna e un’assoluzione nel processo per la morte del caporalmaggiore dell’Esercito Francesco Positano, avvenuta in Afghanistan nel 2010. Positano, allora 29enne, sarebbe stato schiacciato da un blindato durante una manovra sbagliata (e in seguito ostinatamente negata) del guidatore. Il Tribunale di Roma ha condannato a 3 anni e mezzo Vincenzo Ricciardi, all’epoca dei fatti responsabile del plotone, mentre l’autista del mezzo Matteo Rabbone è stato assolto dall’accusa di omicidio colposo. Il pm alla scorsa udienza aveva sollecitato per entrambi una condanna a cinque anni. Disposta anche una provvisionale di 155mila euro per i familiari costituiti come parte civile Sei altri militari erano accusati di false informazioni al pm ma è intervenuta la prescrizione.
La vicenda
L’intricata vicenda venne così ricostruita in aula: «Positano partecipava a una missione in Afghanistan a bordo di un Buffalo. Il giovane caporalmaggiore scese dal mezzo per verificare un possibile problema sul blindato e viene travolto. I commilitoni tentano di soccorrerlo invano. Il Buffalo è un mezzo programmato perché resista alle esplosioni, procede a scossoni e all’interno bisogna stare allacciati a una cintura di sicurezza. Servono una serie di accorgimenti insomma. Abbiamo tentato di far capire a testi dell’esercito le regole ferree che vigono a bordo di un Buffalo. Lo ribadisco perché il comandante assume una posizione di garanzia nei confronti di tutti quelli che sono a bordo». E ancora: «Ci dissero che era un incidente, che Positano, colpito da malore, sarebbe caduto dalla torretta. Ci dissero che quel malore era dovuto ad uno sbalzo di temperatura. Ci dissero che si sarebbe sporto per guardare le ruote e che così facendo sarebbe caduto. Non era vero. E la mamma si è opposta alla “verità” che le stavano propinando. Somiglia alla vicenda Cucchi questo caso. La mamma ha avuto solo porte sbattute in faccia. Perché non parlare con una mamma se si ha la coscienza pulita? Nessuno dei militari teneva alla memoria di Francesco bensì a se stessi. L’esercito non voleva sobbarcarsi critiche, altre censure oltre a quello che già compariva sui giornali. Qui siamo in presenza di un esercito negligente. Non si fece neppure autopsia ma un banale accertamento esterno e si chiuse il caso».