«Così Mosca ha deportato 19mila bambini ucraini in Russia dall’inizio del conflitto»: l’inchiesta del New York Times
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina oltre 19 mila bambini sono stati deportati nella Federazione e nei territori controllati da Mosca. Soltanto 387 di loro hanno fatto ritorno a casa, grazie ai negoziati diplomatici e con l’aiuto di organizzazioni non governative come Save Ukraine e Sos Children’s Villages Ukraine. Lo rivela un’inchiesta del New York Times che ha raccolto decine di testimonianze di minori ucraini separati dalle proprie famiglie. Con il pretesto di salvarli dalle zone di conflitto, le autorità russe hanno cercato di metterli contro la propria patria-casa mediante un’operazione di ridefinizione delle identità, nonché un indottrinamento mirato per trasformarli in futuri fedeli del Cremlino. Per le Nazioni Unite il trasferimento di bambini in Russia «viola il diritto umanitario internazionale». Ed è proprio per la deportazione di minori che Vladimir Putin è accusato di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale insieme alla commissaria per l’Infanzia Maria Llova-Belova.
I campi estivi
Vittime vulnerabili di un conflitto che va avanti ormai da due anni, molti bambini sono rimasti orfani a causa dei bombardamenti russi su città e villaggi dell’Ucraina. Altri sono stati allontanati dalle proprie famiglie con la promessa di una settimana di «svago» in rinomate località balneari sul Mar Nero. Una sorta di campo estivo in cui dimenticare le atrocità della guerra. È accaduto a Cherson, la città rimasta sotto occupazione fino al novembre del 2022, dove il 6 ottobre di un anno fa gli istituti scolastici hanno comunicato agli studenti il loro trasferimento in case-vacanze in Crimea. Per diversi giorni, ricorda Alla Yatsentiuk, il porto era «pieno di bambini, 500 o 600 pronti a imbarcarsi» per la Penisola. Anche suo figlio Danylo, 13 anni, decise di prendere parte all’iniziativa. Sua madre lo recuperò sei mesi dopo. Ma la maggior parte dei suoi compagni erano già stati trasferiti in altre regioni della Russia. Secondo i racconti dei minori e delle loro famiglie la strategia russa è stata «deliberata, premeditata e sistematica».
Gli orfanotrofi e il decreto presidenziale
Secondo una serie di documenti raccolti da Lyudmyla Denisova (ex funzionario ucraino per i diritti umani) le autorità di Mosca hanno inoltre trasferito in massa i bambini dagli orfanotrofi ucraini per poi affidarli a famiglie adottive russe. Le procedure sono state facilitate da un decreto, firmato dal leader del Cremlino il 25 maggio scorso, che concede la cittadinanza russa ai bambini ucraini e conferisce ai Tribunali di Mosca il potere di creare un «nuovo stato civile (nuovo nome, cognome, luogo e data di nascita, ndr)». Ma non solo: mentre milioni di persone fuggivano dai combattimenti, funzionari russi hanno allestito i cosiddetti «campi di filtraggio», dove schedulavano gli ucraini che uscivano dalle zone di guerra per entrare nel territorio controllato dalla Russia. Quelli sospettati di essere combattenti venivano arrestati; i civili, compresi i bambini, ricollocati in territori russi od occupati dalla Russia. Ed è proprio in uno di questi campi che Sasha e sua madre sono stati separati. Si erano rifugiati per due settimane in un ospedale militare ucraino nei sotterranei dell’acciaieria a Mariupol, dopo che Sasha era rimasto ferito in un’esplosione ed era stato catturato insieme alle truppe ucraine. Sua nonna è riuscita a rintracciarlo in un ospedale in una zona dell’Ucraina controllata dai russi. «Nonna, portami via da qui», l’appello del nipote. Ci sono voluti oltre due mesi per attraversare la Federazione e riportarlo a casa.
I bambini ucraini dovevano diventare russi
Fin dall’annessione della Crimea, nel 2014, la Russia ha intensificato la sua campagna di indottrinamento e «russificazione» dei bambini ucraini. I minori sono obbligati a seguire le lezioni in russo, cantare l’inno nazionale, imparare la storia della Federazione. Dimenticarsi e ricostruirsi. Alle loro famiglie sono stati inoltre offerti «soldi, passaporti, denaro, appartamenti» per soggiornare in Russia o in Crimea. Alcuni ragazzi si sono sentiti persino dire che i loro genitori non li volevano, che l’Ucraina sarebbe diventata un cumulo di macerie e che avrebbero subito rappresaglie qualora avessero deciso di tornare in patria. L’operazione di ridefinizione della propria identità nazionale comprende, scrive il Nyt, anche l’addestramento militare. Artem Hutorov, all’epoca 15enne, e una dozzina di compagni di classe sono stati prelevati dalla loro scuola di Kupiansk da alcuni soldati russi per essere trasferiti in una istituto il più lontano possibile dalla linea del fronte. Qui, i giovani sono stati costretti ad indossare abiti militari, mimetiche verdi o uniformi bianche da cadetti della marina. Artem è apparso in una fotografia sul sito web della scuola con il simbolo «Z» della forza di occupazione russa in Ucraina cucito nella spalla. Secondo la Convenzione di Ginevra il trasferimento forzato di bambini può essere considerato «un atto di genocidio». E l’incapacità degli Stati di proteggere i minori è alla base del mancato raggiungimento di uno degli obiettivi principali: la pace.
Foto copertina: ANSA/UNICEF
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