L’Iran promette vendetta per l’attentato alla tomba di Soleimani e punta il dito fuori dal Paese: «Isis? Agenti di Usa e Israele»
Centinaia di persone si sono radunate questa mattina a Kerman, nel sud-est dell’Iran, per piangere la morte delle 89 vittime provocate dalla duplice esplosione avvenuta mercoledì all’ingresso del mausoleo dedicato a Qassem Soleimani, il generale delle Guardie rivoluzionarie ucciso da un drone americano nel gennaio 2020. A rendere solenne omaggio sulla tomba di Soleimani è stato anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi, che ha colto l’occasione per rilanciare la retorica patriottica contro i non meglio identificati nemici del Paese. «Le nostre forze sceglieranno il tempo e il luogo per agire» in risposta all’attentato, ha detto Raisi, citato dall’agenzia di stampa Irna. Un modo per acquietare la sete di giustizia della folla in lutto radunatasi nel luogo sacro di Kerman, al grido di «vendetta». Quello avvenuto mercoledì è in effetti l’attentato più sanguinoso mai subito dall’Iran dalla fondazione della Repubblica islamica nel 1979, ma sulla reale matrice dell’attacco lo stesso regime di Teheran sembra voler confondere le acque. Ieri l’Isis ne ha rivendicato la paternità, affermando che due suoi combattenti si sarebbero fatti esplodere a una ventina di minuti di distanza l’uno dall’altro. Oggi però nelle dichiarazioni sferzanti dei vertici del Paese non c’è pressoché traccia di menzione della responsabilità dello Stato islamico: anzi, si punta più o meno esplicitamente il dito altrove. Il ministro dell’Interno, Ahmad Vahidi, ha fatto sapere genericamente che «alcune persone» coinvolte nell’attentato sono state arrestate grazie al lavoro dell’intelligence, che è stata in grado di trovare rapidamente «buoni indizi». Il suo vice, Majid Mirahmadi, ha aggiunto che le persone – non si sa quante né di chi si tratti – sono state arrestate «in cinque città in cinque province» per legami con quanto avvenuto.
Teorie del complotto
Fine delle comunicazioni ufficiali, almeno per il momento. Al di fuori delle quali i vertici del Paese continuano a rinfocolare però voci e sospetti su un piano straniero contro il Paese, orchestrato, naturalmente, dagli eterni nemici. «I terroristi dell’Isis agiscono semplicemente come agenti dell’America e di Israele», ha detto sempre al funerale il comandante delle Guardie della Rivoluzione Hossein Salami, ricordando come «oggi l’Isis non controlla un briciolo di terra: sono scomparsi e si nascondono nei loro nidi». E lo stesso Raisi, pur astenendosi dal collegare pubblicamente l’attentato a Israele, è tornato a inveire con l’occasione contro lo Stato ebraico, dichiarando che l’operazione “Diluvio di Al Aqsa”, come Hamas ha chiamato la strage del 7 ottobre, «porterà alla fine del regime sionista» perché «la vittoria della verità e la distruzione della falsità è una promessa divina».
Foto di copertina: La folla ai funerali di Faezeh Rahimi, una delle vittime dell’attentato di Kerman – 5 gennaio 2024 (Ansa-EPA/Abedin Taherkenareh)