Charles Michel lascia la guida del Consiglio europeo. Così la mossa del belga può consegnare l’Ue nelle mani di Orbán (o di Draghi)
Se non è un fuggi fuggi, poco ci manca. Il mandato delle istituzioni Ue elette a metà del 2019 è agli sgoccioli, con le elezioni europee in programma ai primi di giugno che ridefiniranno (forse) il panorama politico del continente, ma il termine formale è fissato a novembre 2024. Eppure diversi dei protagonisti politici dell’ultimo quinquennio hanno bruciato le tappe, rinunciando in largo anticipo al loro incarico per “prenotare” il successivo. I primi a farlo sono stati la scorsa estate due vicepresidenti di peso della Commissione, il socialista olandese Frans Timmermans e la liberale danese Margrethe Vestager. Il primo per candidarsi alla guida del centrosinistra alle elezioni politiche anticipate nel suo Paese. La seconda per lanciare la sua corsa alla presidenza della Banca europea degli investimenti. Missione fallita per entrambi. Timmermans ha dovuto riconoscere la sconfitta nelle urne del 22 novembre di fronte all’exploit dell’ultradestra guidata da Geert Wilders. Vestager, appena due settimane dopo, si è vista bruciata nella corsa alla Bei da un’altra donna, la vicepremier uscente spagnola Nadia Calviño. L’ex zarina dell’Antitrust Ue, la cui stella politica è andata offuscandosi negli anni, non ha potuto che fare mesto rientro, per i pochi mesi restanti, nei ranghi della Commissione di Ursula von der Leyen. Ma ora ad abbandonare i vertici delle istituzioni europee è – o meglio, sarà – un vero pezzo da novanta: Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo. «Ho deciso di candidarmi alle elezioni europee del giugno 2024: guiderò la lista del Movimento Riformatore, la mia famiglia politica del Belgio francofono», ha annunciato ieri sera Michel in una triplice intervista ai tre principali quotidiani belgi.
Così Michel inguaia i governi Ue
Apriti cielo. Perché la scelta (legittima) dell’ex premier di Bruxelles rischia di mettere in seria difficoltà proprio coloro che Michel era chiamato a guidare negli ultimi 5 anni: i capi di governo dell’Ue. Per capire perché è sufficiente dare un’occhiata al calendario. Il voto europeo è fissato in tutto il continente tra il 6 e il 9 giugno. Il tempo di accertare e proclamare formalmente i risultati e i nuovi eletti al Parlamento europeo – tra cui, si suppone, anche il leader di ritorno dei liberali belgi Michel – saranno chiamati a presentarsi per prestare giuramento nella nuova funzione. L’insediamento, la verifica l’ha fatta preventivamente lo stesso Michel, dovrebbe aver luogo a metà luglio, verosimilmente il 16. Entro quella data ultima, prima dunque, i capi di Stato e di governo dell’Ue dovranno aver concordato il nome del nuovo presidente del Consiglio europeo – l’uomo o donna che a norma di Trattati è chiamato/a a coordinare i lavori della massima istituzione politica dell’Ue, e dei delicatissimi vertici intergovernativi. Se fino ad oggi le cancellerie potevano contare su diversi mesi per negoziare il nome del successore di Michel, insomma, ora dovranno rifare i conti: avranno appena un mese dopo le Europee, dei cui risultati non potranno non tener conto. Un bel grattacapo, almeno per i leader più lontani dal sovranismo, perché un eventuale mancato accordo entro i primi di luglio porterebbe a uno scenario paradossale e potenzialmente distruttiva per l’Unione: consegnarla nelle mani di Viktor Orbán.
L’avatar di Putin alla guida dell’Ue?
Il premier ungherese non fa mistero del suo obiettivo di «disfare» dall’interno l’Unione, o per lo meno piegarla alla sua agenda: filorussa, feroce contro Lgbt e migranti, la democrazia ridotta a un orpello. Ma è anche il leader più longevo dell’intera Ue (è in carica ininterrottamente dal 2010) e conosce a menadito il funzionamento della macchina decisionale, e i suoi punti deboli. Nel secondo semestre del 2024, proprio nell’arco di tempo che farà da anello di congiunzione tra la vecchia e la nuova legislatura, la sua Ungheria avrà la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, l’organo in cui si confrontano sui tutti i dossier tecnici e politici gli Stati membri. Una responsabilità importantissima di norma: figurarsi in assenza di un presidente del Consiglio europeo in grado di “sorvegliare” ciò che accade nell’istituzione che le sta subito sotto. E il diavolo definitivo (con le sembianze di Putin) sta nei dettagli. Perché il regolamento del Consiglio europeo (articolo 2.4) parla chiaro: in caso di defezione del presidente per un qualsiasi motivo, ad assumerne le funzioni sino alla nomina di un nuovo responsabile è il capo di governo del Paese che ha la presidenza semestrale del Consiglio. E così dal 1° luglio, se non sarà già stato chiuso e blindato un accordo sul successore di Charles Michel, l’Ue rischia di trovarsi ostaggio di quello che è stato definito la «quinta colonna di Putin» al suo interno.
Reazioni al veleno e scenari a sorpresa
«La decisione di Charles Michel di lasciare prima del tempo la presidenza del Consiglio europeo per proseguire la sua carriera politica come eurodeputato non è solo egoistica, ma anche irresponsabile», attacca su Twitter Alberto Alemanno, fondatore dell’Ong The Good Lobby e docente di diritto europeo. Che affonda il coltello nella piaga ricordando la «costante battaglia di ego» condotta per tutto il quinquennio da Michel con Ursula von Der Leyen e concludendo che l’ultimo atto del suo mandato lo manderà negli archivi di storia come «il presidente più inefficace mai nominato alla guida del Consiglio europeo». Altrettanta velenosa la reazione dell’eurodeputata olandese Sophie in’t Veld, tra le più dure oppositrici di Orbán al Parlamento europeo: «Il capitano abbandona la nave nel bel mezzo della tempesta», attacca la leader di Volt commentando la scelga di Michel. «Se è questo il livello del tuo impegno per il destino dell’Unione europea, quanto mai potrai essere credibile come candidato?». Più sfumata la reazione di un altro osservatore privilegiato della politica europea, il direttore dello European Centre for International Political Economy Hosuk Lee-Makiyama, secondo il quale il passo indietro di Michel «sposta semplicemente indietro la corsa per il suo successore di 6-9 mesi: un danno per un paio di candidati che saranno ancora alle prese con la politica nazionale». Che la mossa di Michel finisca per avvantaggiare candidati già ampiamente noti alla stragrande maggioranza degli elettori europei e liberi da altri impegni istituzionali? A Città della Pieve siede sornione un noto ex governatore della Bce che risponde precisamente a quest’identikit…
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