La guerra tra Temu e Shein che cambierà per sempre il fast fashion
Forse definirlo fast-fashion è obsoleto. La velocità con cui alcuni siti di e-commerce aggiornano i propri store online e poi i prodotti finiscono nel carrello per pochi euro, a casa del cliente in qualche giorno e nella spazzatura dopo pochi utilizzi è sempre più vertiginosa. E a spartirsi la torta del turbo-fashion ora sono due i principali attori. In rapida ascesa l’uno, non potrebbe essere diversamente, in difficoltà l’altro. Dopo aver cannibalizzato il mercato in una manciata di anni, Shein deve ora fare i conti con Temu, la società di Pdd Holding che dal suo sbarco negli Stati Uniti nel settembre 2022 ora vende tre volte di più ai consumatori americani rispetto al concorrente cinese. D’altronde è stata Shein stessa a plasmare le condizioni perfette perché, dal deserto creato intorno a sé, sorgesse un nuovo mostro in grado di affrontarla ed, eventualmente, sconfiggerla. Ha mostrato a tutti come si fa, polverizzando la concorrenza e favorendo la nascita del nuovo attore di e-commerce che ha imparato dalle sue debolezze. I numeri di Temu sono impressionanti, con 61 milioni di utenti in un anno solo negli Stati Uniti e la distribuzione attiva in 48 Paesi. Ma è un altro il dato che preoccupa il principale concorrente: valutato 100 miliardi di dollari nel 2022, Shein ha subito una contrazione di un terzo del suo valore – scendendo a 66 miliardi – da quando Temu è entrato nel mercato statunitense. Il mondo dell’e-commerce corre veloce grazie agli oltre 1 milione di pacchi ciascuno che i due colossi spediscono ogni giorno. Ma a quale prezzo?
Spazzata via la concorrenza
Ci troviamo ormai nella terza generazione del fast-fashion. Come ricostruisce l’annuale report State of Fashion di Business of Fashion and McKinsey A cavallo degli anni Duemila marchi come H&M e Zara hanno ottennero il loro successo attraverso un’analisi più efficace dei dati forniti dai loro clienti, che permetteva alle aziende di aggiornare il proprio catalogo in pochi giorni anziché aspettare la fine della stagione. I capi erano a buon mercato ma con uno stile moderno che sembrava replicare quelli che i grandi marchi facevano sfilare in passerella, con la possibilità di aggiornarli e adattarli ai gusti dei consumatori quasi in tempo reale. Poi intorno al 2010 emergono aziende come Asos e Boohoo, che fanno dell’e-commerce la loro forza e rendono ancora più rapida la risposta alle richieste dei clienti. La terza generazione è quella dominata da Shein e Temu, che lasciano indietro la concorrenza e vanno a un passo completamente diverso. Solo per fare un esempio, mentre Zara introduce in media qualche decina di nuovi articoli al giorno e Boohoo ne sforna circa cinquanta, nel 2022 Shein ne lanciava più di 860 e ora è in gradi di metterne tra i 2mila e i 10mila. E sono in media molto più competitivi: un articolo su Zara costa in media 34 dollari e su H&M 26, mentre su Shein 14 e su Temu il prezzo medio non supera i 10 dollari.
Lo scontro tra giganti
Annichiliti gli avversari, Shein e Temu hanno iniziato a ingaggiare una lotta l’uno contro l’altro. Il primo per impedire al secondo di emergere, il secondo per rubargli il primato. Così nel dicembre 2022, appena tre mesi dopo il lancio di Temu negli Stati Uniti, Shein trascina in tribunale l’avversario accusandolo di aver ingaggiato svariati influencer per fare cattiva pubblicità ai propri prodotti. Sette mesi più tardi la Pdd Holdings cita in giudizio la concorrente per strategie di esclusione illegali, pratiche predatorie che limitano la concorrenza. Entrambe le cause dovrebbero esser state ritirate, ma sono un segnale della tensione che si respira tra i due colossi. A metà dicembre Temu ha denunciato nuovamente Shein per «intimidazioni di tipo mafioso» ai propri fornitori, comportamenti anti-concorrenziali e altre pratiche illegali per danneggiarla. La crescita improvvisa delle due aziende ha fatto emergere diversi dubbi sulla sostenibilità dei prodotti venduti, sulle condizioni di lavoro dei dipendenti e sul modello di business. Su quest’ultimo aspetto, gli analisti di Sanford C. Bernstein sostengono che nonostante 13 miliardi di dollari generati dalle vendite, Temu potrebbe registrare una perdita di 3.36 miliardi a causa dei prezzi stracciati dei prodotti e delle spedizioni gratuite senza limiti di spesa, ossia la stessa strategia che ne sta garantendo il successo.
Sostenibilità, privacy, sicurezza
Shein, oltre ad aver ricevuto accuse di plagio, era finito al centro delle polemiche per le condizioni di lavoro dei suoi impiegati, con l’inchiesta di Channel 4 che ne denunciava lo sfruttamento: senza contratto, sottopagati, con un solo giorno di riposo al mese. Poi è toccato anche a Temu, dopo l’indagine di Grizzly Research su numerose versioni della sua app: la società di analisi aveva evidenziato numerose criticità nelle linee di codice, definendola un problema per la sicurezza e paragonandola a malware e spyware. A questi e ad altri problemi di trasparenza, che hanno causato tra gli altri la sospensione dell’app dall’Apple Store, Temu ha risposto a Repubblica – che ha raccolto tutti i dubbi su quella che è risultata l’app gratuita più scaricata dallo store dell’azienda di Cupertino – assicurando che «la protezione della privacy» è una priorità per Pdd Holdings.
«Quando divulghiamo le pratiche di raccolta dei dati, aderiamo al principio della massima divulgazione», hanno fatto sapere, e «quando si tratta della raccolta e dell’utilizzo effettivo dei dati, seguiamo il principio di minimalità, ovvero raccogliamo e utilizziamo solo i dati necessari per scenari specifici e giustificati». Ma tra le critiche più insistenti alle società di fast-fashion, c’è quella che riguarda la sicurezza dei prodotti venduti. Altroconsumo ne ha analizzati 28, denunciandone poi la scarsa qualità, i problemi di etichettatura e di fabbricazione. Dai giocattoli per bambini ai prodotti cosmetici, l’organizzazione di consumatori ha ravvisato numerose criticità, dalla mancanza della marcatura CE fino alla sua contraffazione. Temu sostiene che non è direttamente responsabile degli articoli in vendita sul proprio marketplace ma prodotti da terze parti, pur rivendicando di «aver rimosso gli elenchi dei prodotti che non soddisfacevano gli standard».
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