In ritardo, senza coperture e troppo «soft»: il Piano dell’Italia per l’adattamento ai cambiamenti climatici non accontenta nessuno
Dopo sei lunghi anni dalla prima bozza e il susseguirsi di quattro governi, l’Italia ha finalmente un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). Si tratta di un documento considerato indispensabile per pianificare le politiche di contrasto agli impatti della crisi climatica, sia a livello locale che nazionale. Il piano presentato questa settimana dal ministero dell’Ambiente è lungo un centinaio di pagine ed elenca 361 azioni che sarà necessario intraprendere nei prossimi anni. C’è solo un problema: di queste misure indicate dal governo, appena 5 hanno i costi riportati nel dettaglio. Per tutte le altre misure, ad eccezione di 13 indicate come «a costo zero», si rimanda ad altri documenti oppure a formule generiche: «Costi non noti», «Nessuna informazione utile nota in materia» o «Da valutare». Un dettaglio che non è sfuggito alle principali associazioni ambientaliste, che da anni attendevano la pubblicazione del piano e ora chiedono che si stanzino subito le risorse economiche necessarie per renderlo davvero operativo.
Cos’è il Pnacc
Il Pnacc pubblicato dal governo serve a delineare una strategia nazionale per «l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici». Un tema particolarmente sentito per l’Italia, che – come si riconosce nel documento del Mase – si trova in un «hotspot» climatico. Questo significa che il nostro paese è in una posizione particolarmente vulnerabile, che ci espone a rischi naturali, aumento delle temperature e intensificarsi di eventi meteo estremi, con tutto ciò che questo comporta a livello economico, sociale e ambientale. Il Pnacc, dunque, può essere visto come una sorta di manuale di sopravvivenza, che fornisce una serie di indicazioni su come ci si può preparare per evitare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici. Non solo: il documento dovrebbe includere anche indicazioni su come «trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche».
I settori coinvolti
Prendendo in considerazione tre diverse ipotesi di come cambieranno le emissioni da qui ai prossimi decenni, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici individua 361 misure che occorre mettere in campo. Queste azioni si dividono in 18 settori: agricoltura, energia, trasporti, dissesto idrogeologico, risorse idriche, foreste e non solo. Nella maggior parte dei casi, si tratta di azioni molto generiche. Per l’agricoltura, per esempio, si suggerisce tra le altre cose di prediligere tecniche a basso impatto ambientale e irrigare utilizzando sistemi di precisione. Per il dissesto idrogeologico, il consiglio è di migliorare il monitoraggio delle aree più a rischio e programmare la spesa pubblica per la messa in sicurezza. O ancora: per le risorse idriche l’indicazione è di riconsiderare le concessioni, riqualificare i corsi d’acqua e introdurre misure per la razionalizzazione dei consumi.
Le soluzioni «soft» contro il dissesto idrogeologico
In termini di operatività, il documento redatto dal governo divide tutte queste azioni in tre categorie: soft, green e grey. Le azioni soft, si legge nel documento, «sono quelle che non richiedono interventi strutturali e materiali diretti ma che sono comunque propedeutiche alla realizzazione di questi ultimi». In altre parole, si tratta di iniziative di ricerca, monitoraggio dati, modifiche legislative, cambi di governance e via dicendo. Le azioni «non soft» si dividono in due colori: green (verde) e grey (grigio). Le azioni green sono quelle nature-based, ossia basate sulla natura. Quelle verdi, invece, sono azioni materiali che riguardano il miglioramento o l’adeguamento di impianti, tecnologie e infrastrutture. Delle 361 azioni individuate dal ministero, la stragrande maggioranza (il 76%) sono soft, ossia non strutturali. Le restanti 87 si dividono in 46 misure green e 41 grey. Colpisce la sezione dedicata al dissesto idrogeologico, da tempo una delle piaghe più ignorate in Italia. Stando ai dati più recenti di Ispra, quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera. Eppure, tutte e 29 le azioni indicate nel Pnacc per rispondere a questa situazione rientrano nella categoria «soft».
La delusione degli ambientalisti
Tra mancate coperture economiche e indicazioni generiche, non sorprende che il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici abbia ricevuto un’accoglienza tiepida da parte delle principali associazioni ambientaliste. Il Wwf accusa il governo di non aver preso «decisioni chiare e coraggiose» e sottolinea la «scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle». Enrico Giovannini, ex ministro durante il governo Draghi e ora direttore scientifico dell’Asvis, si concentra invece sull’aspetto economico. «Il Pnacc non beneficia di specifiche risorse finanziarie: per questo, bisogna urgentemente valutare se e come gli investimenti previsti dal Pnrr o quelli finanziati da altri strumenti, come i fondi europei e nazionali per la coesione, possono contribuire alla realizzazione del Piano». Ancora più esplicita Legambiente, che chiede al governo di stanziare «subito le risorse economiche necessarie». Nel 2023, l’Italia ha registrato un aumento del 22% degli eventi meteorologici estremi rispetto all’anno precedente. E solo per i danni delle alluvioni in Emilia-Romagna e in Toscana, il governo ha dovuto spendere 11 miliardi di euro. Risorse che – fa notare Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – «potevano essere in parte risparmiate con campagne di prevenzione e azioni di adattamento fatte per tempo».
January 3, 2024
Foto di copertina: ANSA/Emanuele Valeri | Veduta aerea di una casa circondata dal fango dopo le alluvioni del maggio 2023 in Emilia Romagna
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