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Via Poma, l’avvocato Coppi: «Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni è un mostro, ma non ha senso continuare a indagare»

08 Gennaio 2024 - 15:24 Redazione
L'avvocato che difese Raniero Brusco, ex fidanzato della vittima, a Il Messaggero: «Bisognerebbe conoscere gli atti, ma se il pubblico ministero stesso chiede l'archiviazione significa che ci troviamo di fronte al nulla»

«Il tipo di delitto dà l’idea che a commetterlo sia stato qualcuno che non stava molto bene con la testa. Capisco l’ansia della famiglia di conoscere la verità, ma il tempo non giova alle indagini e più il tempo passa più eventuali prove, di qualsiasi tipo, svaniscono o si perdono del tutto». Così a Il Messaggero l’avvocato Franco Coppi, che difese e portò all’assoluzione l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco. «Con una ricostruzione dei fatti a 30 anni e la maggior parte dei testimoni che non ci sono più, credo che il tentativo non possa avere grande successo – ha aggiunto – Mi chiedo anzi, se non sia il caso di tornare sul tema della prescrittibilità anche per i reati come l’omicidio. È vero che è il più grave di tutti i reati ma ha senso continuare ad aprire indagini dopo 30 anni o non è invece più ‘sensato’ e apprezzabile chiudere la partita quando dopo un certo numero di anni si capisce di non riuscire a raggiungere la verità?». L’informativa dei carabinieri è una novità? «Non mi sembra il caso di via Poma, né di molti altri ‘cold case‘. Ma con questo ragionamento tutte le persone che in qualche modo hanno gravitato intorno a via Poma e a Simonetta potrebbero essere sottoposte a indagine da un momento all’altro». Rispetto al figlio di Vanacore finito nel mirino degli inquirenti, Coppi afferma: «Bisognerebbe conoscere gli atti, ma se il pubblico ministero stesso chiede l’archiviazione significa che ci troviamo di fronte al nulla, perché se ci fosse uno spiraglio di prove avrebbe deciso diversamente. L’accusa ritiene che non ci siano elementi che giustifichino indagini. Probabilmente non si andrà oltre, ma intanto si sta consumando il più pericoloso dei processi. Nome, cognome, foto. È una cosa inaccettabile».

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