L’Ecuador rischia di finire nelle mani dei narcos. Tajani: «Seguiamo con preoccupazione la situazione»
Ospedali sotto attacco, rivolte nelle carceri, attacchi armati. Un’ondata di violenze senza precedenti ha travolto l’Ecuador, costringendo il giovane presidente Daniel Noboa a introdurre lo «stato di emergenza». Nella giornata di ieri un gruppo di uomini armati e dal volto coperto ha preso d’assalto lo studio della TC Television di Guayaquil, la più grande città del Paese sudamericano, durante il telegiornale El Noticiero. Poco dopo l’attacco all’emittente, il capo dello Stato ha autorizzato l’esercito ecuadoriano «a neutralizzare 20 bande di narcotrafficanti entro i limiti del diritto internazionale umanitario». Stando alle testimonianze, i responsabili del sequestro in diretta farebbero parte della gang dei “Tiguerones”, che insieme a “Los Lobos”, ovvero i Lupi, gestiscono le attività regionali dei narcotrafficanti del potente cartello messicano di “Jalisco Nuova Generazione” (Cjng). L’Ecuador, Paese tra Perù e Colombia (principali produttori al mondo di cocaina), è infatti diventato negli ultimi anni uno Stato sempre più importante per i narcos messicani, che attraverso le bande locali lo utilizzano come centro logistico per organizzare le spedizioni di droga dirette verso l’America del Nord. Nonostante l’arresto degli assalitori, la situazione in Ecuador resta fuori controllo. Non esistono bilanci ufficiali: polizia e amministrazioni locali hanno riferito che i morti sono 13, mentre si segnalano numerosi feriti e l’arresto di circa 70 persone. «Seguo con preoccupazione gli sviluppi dei gravi atti di violenza avvenuti negli ultimi giorni in Ecuador per mano di organizzazioni criminali. Esprimo la mia vicinanza alle famiglie delle vittime e il mio pieno sostegno al popolo e alle istituzioni democratiche ecuadoriane», ha scritto su X il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Nessun italiano finora è stato coinvolto negli scontri.
Lo Stato contro i cartelli della droga
Le violenze in Ecuador seguono la fuga dal carcere di Guayaquil del narcotrafficante e leader di “Los Chineros” (gang armata più pericolosa del Paese), Adolfo Macías, detto Fito. Dopo l’evasione del boss, si sono verificati diversi episodi di violenza nelle carceri del Paese. Da una prigione diRiobamba sono evasi 369 detenuti, tra cui Fabricio Colón Pico, il leader dei “Los Lobos”. Per alcuni esperti, citati dal New York Times, sarebbe stata la decisione del capo di Stato (eletto tre mesi fa) di trasferire tutti i boss del narcotraffico in carceri di massima sicurezza a far scoppiare le rivolte coordinate e le evasioni di massa dalle prigioni. In Ecuador, infatti, un quarto delle 36 carceri – scrive il Nyt – sono nelle mani della criminalità organizzata.
La scorsa settimana, il presidente ha inoltre annunciato di voler indire un referendum sulle misure di sicurezza, tra cui pene più severe per alcuni reati legati alla criminalità organizzata e l’ampliamento del ruolo dell’esercito. In una dichiarazioni di oggi a Radio Canela di Quito (capitale dell’Ecuador), Noboa ha anche avvertito «eventuali giudici e pm» che sostengono i gruppi terroristici che «sarebbero stati considerati come parte di essi». Il deterioramento dei rapporti di convivenza civile in Ecuador, in passato considerata una nazione tranquilla e, persino, turistica, risale – scrive il Guardian – ad almeno sette anni fa quando, progressivamente, esponenti dei cartelli della droga di Messico e Colombia si sono infiltrati in varie province. E, insieme a rappresentanti delle principali mafie europee, ‘Ndrangheta in Italia e mafie dei Paesi balcanici (in particolare l’Albania) hanno inviato tonnellate di droga verso gli Usa e l’Europa.
L’ambasciata italiana in Ecuador
«Le istituzioni dell’Ecuador, a cominciare dall’Assemblea legislativa, senza distinzione politica, le autorità locali, i gruppi indigeni e le associazioni del settore privato si sono strette attorno al presidente Noboa, sostenendone l’azione in un clima di crescente esasperazione per l’insicurezza e la violenza dilaganti», ha dichiarato a LaPresse l’ambasciatrice italiana a Quito, Caterina Bertolini, in merito alla situazione nel Paese sudamericano. «L’ambasciata – aggiunge – è a stretto contatto con queste autorità anche per fornire tempestivamente informazioni ai connazionali presenti sul territorio, gli uffici sono aperti e sono assicurati i servizi all’utenza».