Ex Ilva, Urso tuona contro ArcelorMittal: «Necessaria una svolta, nessun impegno è stato mantenuto». In serata l’incontro con i sindacati
«Bisogna invertire la rotta e cambiare equipaggio». È il pensiero del ministro delle Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, che in una informativa in Senato ha riferito sulla situazione di stallo creatasi attorno alle acciaierie di Taranto ex Ilva. L’attuale socio di maggioranza privato, ArcelorMittal, alcuni giorni fa ha fatto saltare il tavolo rifiutando l’aumento di capitale da parte di Invitalia, che sarebbe salita al 66 per cento in Acciaierie d’Italia. Il gruppo franco-indiano ha poi fatto una mezza marcia indietro, proponendo di diventare socio di minoranza ma mantenendo una governance condivisa e senza impegnarsi in ulteriori investimenti, che pure deriverebbero dalle sue quote. «Nessuno degli impegni presi è stato mantenuto in merito ai livelli occupazionali e al rilancio industriale», ha risposto in Senato il ministro, «Arcelor Mittal si è dichiarata disponibile ad accettare di scendere in minoranza ma non a contribuire finanziariamente in ragione della propria quota, scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato ma, nel contempo, reclamando il privilegio concesso negli originali patti tra gli azionisti realizzati quando diedero vita alla società Acciaierie d’Italia di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione. Cosa che non è accettabile né percorribile sia nella sostanza che alla luce dei vincoli europei sugli aiuti di Stato».
L’incontro tra governo e sindacati
Urso ha assicurato che il governo si impegnerà a rilanciare il polo industriale, che ha bisogno di un «intervento drastico che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi 10 anni». L’obiettivo è quello di far tornare l’azienda «competitiva sulla tecnologia green», e intanto tornare a livelli produttivi sostenibili. «L’impianto è in una situazione di grave crisi: nel 2023 la produzione si attesterà a meno di 3 milioni di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l’obiettivo minimo che avrebbe dovuto essere nel 2023 di 4 milioni, per poi quest’anno risalire a 5 milioni», ha aggiunto, «siamo in un momento decisivo che richiama tutti al massimo senso di responsabilità, nulla di quello che era stato programmato è stato realizzato». Nella serata di giovedì 11 gennaio, una delegazione del governo incontrerà i sindacati per riferire sulle prossime mosse. Sono circa 20mila i lavoratori dell’indotto di Adi, che ora attendono di sapere quale sarà il futuro dell’azienda. Tra le ipotesi, quella di un’amministrazione straordinaria che possa garantire la continuità dell’attività produttiva, del pagamento degli stipendi e dei fornitori. In attesa che si faccia avanti un nuovo socio privato.