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Missili dall’Iran su Siria e Iraq, ci sono morti e feriti. I curdi: «Colpito il Mossad? Falso, crimine contro di noi». E Baghdad richiama l’ambasciatore – Il video

16 Gennaio 2024 - 13:49 Simone Disegni
I raid rivendicati dalle Guardie rivoluzionarie di Teheran come «vendetta» contro Israele e Isis. La Casa Bianca: «Attacchi spericolati e imprecisi»

Si allarga e si complica ulteriormente il ciclo della violenza in Medio Oriente, a oltre tre mesi di distanza dagli attacchi di Hamas a Israele del 7 ottobre. Nella tarda serata di ieri, lunedì 15 gennaio, le forze iraniane hanno compiuto, e poi rivendicato, una serie di attacchi inediti in Siria e in Iraq. Qui i missili balistici di Teheran hanno colpito alcuni obiettivi nella capitale del Kurdistan, Erbil, che si trova nel nord-est del Paese, a poche decine di chilometri dal confine con l’Iran. Secondo le Guardie rivoluzionarie, obiettivo dell’attacco sarebbe stato il «quartier generale» dello spionaggio del Mossad, i servizi segreti israeliani, nella regione. Un’operazione, sostengono i pasdaran, volta a vendicare le «recenti atrocità del regime sionista», con particolare riferimento all’uccisione di tre comandanti della Guardie Rivoluzionarie. Ma a smentire la tesi iraniana, direttamente da Davos, è oggi il premier della regione autonoma del Kurdistan, Masrour Barzani, secondo il quale l’attacco a Erbil, nel quale sarebbero rimasti uccisi diversi civili, è un «crimine contro il popolo curdo», e quella di aver colpito un centro del Mossad una ricostruzione «senza fondamento». Secondo l’ong norvegese Hengaw, che opera anche ad Erbil, sarebbero almeno 5 i civili morti nell’attacco, tra cui un bambino di 11 mesi, e molti altri bambini sarebbero rimasti feriti.

Vendetta anche contro Isis?

Il secondo attacco condotto dalle forze iraniane ieri sera ha interessato invece obiettivi nel nord della Siria. Ad essere colpiti qui, sempre secondo la versione delle Guardie rivoluzionare, sarebbero stati i «perpetratori di operazioni terroristiche» contro l’Iran, in particolare lo Stato islamico, che il 4 gennaio ha rivendicato l’attentato tra la folla in pellegrinaggio alla tomba di Qassem Soleimani che il giorno precedente ha fatto oltre 100 morti. «Le operazioni offensive continueranno fino a quando le ultime gocce del sangue dei martiri non saranno vendicate», tuonano i pasdaran.

L’ira degli Usa e dell’Iraq

Nell’attesa di reazioni (forse) da Israele, sono arrivate a stretto giro quelle dell’Iraq e degli Usa. Il governo di Baghdad ha condannato gli attacchi su Erbil come una «aggressione contro la sovranità dell’Iraq e la sicurezza del suo popolo». Il ministero degli Esteri ha fatto sapere che intende prendere «tutte le misure legali necessarie, compresa una denuncia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite», oltre che l’istituzione di una commissione d’inchiesta ad hoc, per dimostrare all’opinione pubblica irachena e internazionale «la falsità delle accuse dei responsabili di questi atti riprovevoli». Quindi ha convocato l’incaricato d’affari dell’Iran nel Paese, consegnandogli una lettera formale di protesta per l’aggressione che ha fatto «vittime civili». Infine ha provveduto a richiamare «per consultazioni» il suo ambasciatore a
Teheran, Nassir Abdel Mohsen. Durissima la condanna degli attacchi anche da parte degli Usa, che in Iraq mantengono una forte presenza di personale militare e a Erbil, nei pressi della zona colpita, un importante consolato. Per il Dipartimento di Stato si è trattata di una serie di raid «spericolati e imprecisi», che non risultano aver danneggiato alcuna struttura né personale americano. «Gli Usa sostengono la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Iraq», ha sottolineato una portavoce della Casa Bianca.

Foto di copertina: Il premier iracheno Mohammed Shia al Sudan con quello della regione del Kurdistan Masrour Barzani – Baghdad, 4 aprile 2023 (Ansa/EPA).

Video di copertina: X / Hengaw Organization for Human Rights

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