Parla il fratello di Sarah Scazzi: «Io Misseri non lo perdono»
Claudio Scazzi, fratello maggiore di Sarah, oggi ha 38 anni e vive nel varesotto. Al Corriere della Sera, in vista della scarcerazione di zio Michele Misseri, condannato a otto anni per la soppressione del cadavere di sua sorella, dichiara: «Per lui non nutro rancore, ma non potrò mai perdonarlo». Quando incrocerò di nuovo il suo sguardo – spiega – credo che proverò indifferenza». E ancora: «Se avesse chiamato i soccorsi quando ha trovato mia sorella Sarah nel garage forse non sarebbe volata in cielo quel maledetto 26 agosto del 2010». Misseri uscirà per buona condotta e a causa della norma svuota carceri. «È ciò che gli ha concesso la legge – sottolinea Claudio – Gli avvocati in questi anni ci avevano avvertito: prima o poi uscirà. Piano, piano, ci siamo preparati mentalmente a questo giorno». Il fratello di Sarah Scazzi ricorda quando, anni fa, lo vide un ultima volta: in attesa di giudizio. Le case tra due famiglie distano pochi metri. «I nostri sguardi si sono incrociati a distanza – racconta al Corriere – ma non ho provato nulla. Ero come anestetizzato. Una frase e un mio gesto non solo non mi avrebbero riportato indietro Sarah ma avrebbero potuto influire sul processo».
L’ultimo abbraccio con Sarah
Davanti alla domanda se Cosima e Sabrina chiederanno mai perdono alla sua famiglia Claudio risponde che non si pone il problema. «Perché non avverrà mai. Mia cugina forse non confessa l’omicidio di Sarah anche per avere uno “scudo” quando uscirà dal carcere». Le condanne sono state giuste. Definisce «encomiabile» l’impegno di inquirenti, pm e giudici. «La loro “sete” di giustizia per Sarah mi ha dato la forza per andare avanti». I giorni più difficili che ha passato il ragazzo sono stati i primi, perché i genitori «erano piegati dal dolore ed erano assediati in casa». «Così ho scelto di espormi solo io per farli respirare e “sottrarli” ai riflettori», spiega. L’ultimo abbraccio cn Sarah tre giorni prima che fosse uccisa. «Ci salutammo così perché dovevo tornare a lavoro a Milano. Poi la mamma mi accompagnò in stazione. Le detti dei soldi per comprarle delle sneakers che tanto desiderava. Purtroppo non le ha potute indossare».